E al Forum di Davos si Replica l’eterno Duello tra Keynes e Hayek

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I rapporti fra i due furono piuttosto complicati. Quando, nel 1944, uscì il libro di Hayek La via della schiavitù, Keynes scrisse all’Autore: «A mio parere è un gran libro. Noi tutti abbiamo il più grande motivo per esserle grati per aver detto così bene quello che era così necessario dire». Hayek, a sua volta, confessò che dalla persona di Keynes si ricavava una impressione «indimenticabile», poiché egli possedeva «il magnetismo di un brillante conversatore dagli amplissimi interessi e dalla voce capace di stregare». Ma gli elogi reciproci finivano qui, perché Keynes riteneva le teorie di Hayek «terribili esempi di confusione», mentre Hayek considerava Keynes poco più di un «dilettante» in economia.
La crudezza di questi giudizi non deve stupire: i dissensi fra i due erano radicali. Di fronte alla grande crisi apertasi nel 1929 Keynes chiedeva che gli Stati investissero in grandi opere pubbliche e in imprese produttive, in modo da rafforzare la capacità  di consumo di vaste categorie di cittadini. Per Hayek questa teoria era sbagliata e avrebbe avuto effetti disastrosi, perché avrebbe generato una grave inflazione, e i costi inevitabili per giungere a un riequilibrio sarebbero stati assai dolorosi. Nell’accrescersi dell’inflazione su scala mondiale alla fine degli anni Sessanta, dopo il lungo boom postbellico, Hayek vide appunto il risultato delle politiche keynesiane. Insomma, per Hayek Keynes aveva negato quella che era l’idea più importante, alla quale bisognava tenere fermo: e cioè che l’economia di mercato è in grado, senza nessun intervento, di produrre l’aggiustamento delle oscillazioni della domanda. I risultati di questa negazione erano stati pessimi (compreso il sorgere di uno Stato onnipotente).
Questa disputa sarebbe continuata nel tempo, dopo la scomparsa dei due grandi economisti, e, con vari tentativi di mediazione, è giunta fino ai nostri giorni. Anche al forum dei protagonisti dell’economia in corso a Davos.


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So bene che quello della “lettera aperta” è un genere letterario passato di moda, ma credo di avere due ottime ragioni per farvi ricorso. La prima è che siamo alla vigilia del più micidiale attacco mai portato ai diritti dei lavoratori, e che nessuno sembra essersene accorto, perché il governo Letta, che ne è l’autore, ed è espressione del Pd di cui sei Segretario, l’ha mascherato da semplice misura di supporto al-l’occupazione giovanile.

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