Due scelte per rilanciare Eurolandia

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Questa volta per valutare la bozza del «Trattato sulla Stabilità , coordinamento e governance nella Uem» prefigurato nel Vertice europeo di dicembre. A questi Vertici, preparati anche dall’imminente incontro a Roma tra Monti-Merkel-Sarkozy, la Uem giunge scossa dal giudizio negativo della società  americana Standard & Poor’s. Questa agenzia ha abbassato la valutazione (rating) sulla qualità  dei titoli di Stato di nove Paesi dell’Eurozona (Austria, Francia, Malta, Slovacchia, Slovenia ridotti di un grado; Cipro, Italia, Portogallo, Spagna di due gradi) prefigurando prospettive negative per tutti salvo che per la Germania e la Slovacchia mentre, all’opposto, la Grecia è già  prossima all’insolvenza. Questi giudizi di S&P hanno sollevato molte condivisibili proteste nella Uem ma potrebbero spingere i capi di Stato o di governo di Eurolandia a decisioni politiche ed economiche migliori. 
La prima decisione è quella di varare subito un’Agenzia pubblica europea di rating, magari chiudendone qualche altra, tra le molte, che non serve. I giudizi delle società  private sono infatti inadeguati e tuttavia essi producono effetti di mercato quasi automatici perché molti operatori vendono i titoli di Stato «colpiti» dai rating di maggior rischio facendo calare i prezzi e aumentare i tassi di interesse. Così l’Italia può essere danneggiata perché nella Uem solo Cipro, Grecia e Portogallo hanno un rating peggiore del nostro mentre nel mondo siamo incredibilmente prossimi a quello dell’Azerbaijan e della Colombia!
La seconda decisione, difficile ma ben più importante, riguarda il «Trattato» in preparazione che potrebbe causare una lunga recessione nella Uem. Su questo rischio le valutazioni di S&P vanno tenute in considerazione. Partendo dalle stesse rileviamo che per la prima volta la Uem si trova in una recessione sincronizzata e che le iniziative europee prese sono insufficienti a contrastare le sue tensioni sistemiche. E cioè: le condizioni di credito irrigidite; l’aumento dei premi sul rischio per un numero crescente di Paesi; il simultaneo taglio nelle spese di governi e famiglie; l’indebolimento nelle prospettive di crescita. Criticabile è anche sia la pubblica e prolungata disputa tra personalità  di governo europee sul come fronteggiare la crisi sia l’accordo preso nel Vertice europeo di dicembre per non aver fornito sufficienti risorse e flessibilità  operative a sostegno dei Paesi della Uem in difficoltà . Difficile negare infine che vari governanti europei non hanno capito come in una crisi nata dalla divergenza nei bilanci pubblici, nella posizione sull’estero e nella competitività  tra Paesi «centrali» e Paesi «periferici», riforme basate solo sull’austerità  fiscale siano molto pericolose. In conclusione: mentre la Banca centrale europea è apprezzabile per la sua politica monetaria, il giudizio sulle autorità  politiche europee non può essere positivo.
Di tutto ciò il «Trattato» in preparazione non è consapevole. Nell’articolo 1 si afferma che lo scopo è rafforzare il pilastro economico della Uem con più stringenti discipline di bilancio e di coordinamento delle politiche economiche per consolidare la governance di Eurolandia contribuendo alla crescita e all’occupazione. Ma poi questi cruciali obiettivi scompaiono sepolti sotto prescrizioni per la riduzione dei deficit e dei debiti pubblici sui Pil (prodotto interno lordo) per i singoli Paesi da imporsi anche ricorrendo alla Corte di Giustizia della Ue. Nelle premesse del «Trattato» vi è un richiamo al Fondo di Stabilità  (Esm) — che dovrebbe subentrare, al più tardi nel 2013, all’attuale Fondo Salva Stati sulla cui colpevole inerzia tutti tacciono! —, troppo debole per farci sperare in una prossima emissione di eurobond.
Su entrambi i temi (Agenzia e Trattato) l’Italia deve svolgere un ruolo forte partendo dal fatto che nel 2011 ha attuato tre dure manovre correttive che la porteranno ad avanzi nei saldi di bilancio pubblico (esclusi perciò gli interessi sul debito) tra i migliori in Europa. Il presidente Monti è intenzionato a far valere questi risultati (già  riconosciuti dalla Germania, dal Fondo monetario internazionale, dal successo delle recenti aste di titoli di Stato e anche da S&P) in sede Uem. Egli dovrebbe considerare anche la non sottoscrizione del «Trattato» se nello stesso non saranno esplicitamente ridimensionati i criteri di rientro del debito pubblico e non saranno introdotti gli eurobond. Così facendo egli rilancerebbe anche il nostro contributo per un’Europa forte e Unita che serve a tutti (anche alla Germania) e non solo all’Italia.


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