Due inchieste sul restauro del Colosseo
ROMA — Il restauro del Colosseo finisce al centro di due inchieste parallele. Dopo i ricorsi al Tar e i rilievi dell’Antitrust, la Corte dei Conti e la procura della Repubblica indagano sull’accordo con cui, il 21 gennaio 2011, Diego Della Valle si è impegnato a spendere 25 milioni per risistemare l’Anfiteatro Flavio. All’origine degli accertamenti, un esposto presentato a marzo scorso dalla Uil dei Beni culturali: per il sindacato l’intesa si è risolta in «un regalo» a mister Tod’s, perché sarebbe bastato chiudere i cancelli più tardi e aumentare il biglietto di un euro per incassare ben di più: 200 milioni.
Il rispetto dei vincoli, l’esclusiva concessa allo sponsor, la durata dei diritti (15 anni), «l’errata e grave sottovalutazione» dal punto di vista economico sono, per l’Uilbac, alcuni dei «lati oscuri» del contratto. In sostanza, accusano i sindacalisti, il contratto siglato dall’allora commissario straordinario per l’archeologia di Roma Roberto Cecchi, oggi sottosegretario del ministero dei Beni culturali, e dalla soprintendente Anna Maria Moretti ha significato la dismissione dell’Anfiteatro Flavio: ovvero del monumento-icona dell’archeologia italiana.
Falsità , ribatte la Tod’s. Il «supposto sfruttamento commerciale» del restauro, ha sottolineato l’azienda qualche giorno fa, «è un fatto assolutamente contrario, per quanto ci riguarda, allo spirito dell’iniziativa». Cecchi, che già di fronte alle critiche dell’Antitrust ha rivendicato la validità dell’intesa, anche ora non cambia idea: «Sono sereno e sono convinto di aver agito nell’interesse pubblico», assicura.
Adesso l’inchiesta della Corte dei Conti dovrà verificare se l’accordo abbia prodotto un danno all’Erario, mentre la procura della Repubblica dovrà stabilire se è stata violata qualche norma del codice penale. Finora il fascicolo, affidato al pm Maria Letizia Golfieri, non contiene nomi di indagati né ipotizza reati, ma il sostituto sarebbe orientato a contestare l’abuso d’ufficio. Nelle settimane scorse i sindacalisti che hanno firmato l’esposto sono stati convocati a piazzale Clodio e nei prossimi giorni potrebbe essere il turno di Cecchi. Una possibilità che non turba affatto il sottosegretario: «Non ho ricevuto alcuna comunicazione, ma qualora accadesse collaborerò con il massimo impegno».
Si arrabbia, invece, il sindaco Gianni Alemanno. L’esposto della Uil, tuona, si inserisce in «un’operazione continua, vergognosa, che fa saltare la sponsorizzazione per restaurare il monumento più importante del mondo». Quella del sindaco è un’invocazione: «Lasciateci restaurare il Colosseo — chiede — Cosa volete fare? Volete farlo cadere a pezzi? A furia di Tar, Antitrust, Procure, Corte dei Conti? Vogliamo far sì che il consorzio privato si riprenda i 25 milioni di euro e ci saluti?». Il sindacato però non accetta il ruolo di chi cerca di boicottare i lavori. Ci tengono a sottolinearlo la Uil nazionale e la sezione di Roma e del Lazio: «Anzi — spiegano —, bisognerebbe preoccuparsi di trovare altri finanziatori privati per il restauro e la cura di altri monumenti e di altri siti archeologici, a partire, ad esempio, da quello di Pompei». Il problema, precisa la Uilbac, «non è il gruppo Tod’s, che ha fatto bene il proprio mestiere, ma la pubblica amministrazione che, a nostro giudizio, ha commesso un grave errore di valutazione». Come è emerso quando, a causa dell’esclusiva concessa a Della Valle, il Ministero dei beni culturali ha dovuto dire di no alla Volkswagen, che era pronta a spendere fino a un milione e mezzo per una campagna promozionale al Colosseo.
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