Dov’è l’utopia di Ventotene

by Sergio Segio | 6 Gennaio 2012 9:37

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Che è nella leadership perché è negli obiettivi che l’attuale Unione ha. L’Europa ridisegnata dalla crisi finanziaria attuale è a metà  strada tra un’Unione solo monetaria e un’Unione fiscale; centrata soprattutto sui vincoli. Il mantra è quello noto: per salvare l’Euro, non per dare ossigeno a una politica progettuale. La povertà  di leadership viene dal dominio della finanza sulla politica. Non è casuale. L’Europa che lanciava al mondo la sfida di una democrazia sociale avanzata, improntata sui due pilastri della crescita e dell’equa distribuzione della ricchezza sembra l’utopia di un passato remoto. Eppure era moneta ideologica corrente solo fino a due anni fa. Nessuno sa come sarà  l’Europa di domani. Per ora solo questo sembra certo: i Paesi europei vogliono, o non possono non volere, una moneta comune. Ciò li costringe a volere anche vincoli comuni di spesa. Per necessità  un passo avanti e due indietro, come si dice delle scelte strategiche in tempi di imponderabile incertezza. Un’altra Europa questa dei vincoli alla progettualità , diversa da quella pensata dai suoi visionari fondatori. Eppure questa Europa di povertà  di leadership è una controprova di quel che Altiero Spinelli aveva sostenuto per tutta la sua vita: senza un’Europa politica nessuna Europa può reggere all’urto delle sfide mondiali, sia quando si tratta di militarismo e guerra (come negli anni in cui scriveva Spinelli) sia quando si tratta di impoverimento e arretramento economico, come oggi. Il confronto tra questi mesi drammatici e l’ottimismo aleggiante solo qualche anno vale a rendere la grande trasformazione dell’idea di Unione europea che è sotto i nostri occhi. Nel 1999, celebrando il decimo anniversario della Banca centrale europea, Carlo Azeglio Ciampi, allora ministro del Tesoro e del bilancio, ricordò la riunione di Basilea dell’aprile del 1989, che siglò l’avvio dell’Unione monetaria, come «pietra angolare» di un percorso «ambizioso» per il cui successo c’erano “tutte le condizioni”. Oggi quell’obiettivo è molto lontano dall’essere percepito come un successo. Per molti osservatori è anzi un penoso fallimento. Alla base della moneta unica c’era la visione lungimirante di Jean Monnet fatta propria dai fondatori politici dell’Unione Europea: Schuman, De Gasperi e Adenauer. All’origine vi era la convizione che, come scrisse Luigi Einaudi, per estirpare alla radice la malapianta del nazionalismo fosse necessaria: «L’abolizione della sovranità  dei singoli Stati in materia monetaria» poiché a preparare le condizioni della Seconda guerra mondiale, e prima ancora delle dittature, vi la «svalutazione della lira italiana e del marco tedesco». Ma con una moneta e una politica monetaria capaci di fronteggiare gli shock interni ed esterni, l’Europa sarebbe stata in grado non soltanto di assicurare la pace al mondo e al continente, ma anche di perseguire una politica di prosperità  e giustizia sociale che il mondo le avrebbe invidiato. Quindi, l’Europa nacque con l’ambizione di domare i nazionalismi europei. La sua crisi, oggi, rimette invece in moto quei nazionalismi, anche se non si servono di carri armati ma di denaro. E infatti, perché l’unità  monetaria diventasse una storia di successo, europea e non nazionalista, è mancato qualcosa, lo ricordava lo stesso Ciampi nel suo discorso: «La costruzione istituzionale dell’Unione europea deve arrivare a disporre dell’intera panoplia degli strumenti di governo dell’economia: di bilancio, dei redditi, delle strutture materiali e immateriali». La moneta unica doveva poter contare su un governo europeo per incastonare una «banca centrale autonoma». Diversamente sarebbe stata l’espressione di accordi nazionali, una politica continentale tenuta in mano dagli stati più forti. L’autonomia della Banca centrale europea richiedeva un’autonomia politica dell’Unione europea. Quello che oggi manca e che è alla base della carenza di leadership politica. La crisi della moneta unica europea, che è poi crisi delle società  nazionali, è come una profezia realizzata dell’intuizione di Spinelli. In questa contingenza, l’utopismo del Manifesto di Ventotene acquista un significato di realismo visionario, di pragmatismo delle grandi idee che sanno vedere meglio perché riescono a guardare lontano. Spinelli scrisse il Manifesto per un’Europa libera e unita mentre era confinato antifascista a Ventotene. Il documento, una vera e propria costituzione spirituale, metteva in pratica il tema centrale del pensiero illuminista: la correlazione tra costituzione repubblicana degli stati e ordine internazionale pacifico e libero. Nel Manifesto le ragioni della guerra erano identificate con gli arcana imperii e la ragion di stato, ovvero l’uso arbitario delle istituzioni e la segretezza. La conclusione era che la pace sarebbe stata duratura solo allorché tutti gli Stati nazionali si fossero dati costituzioni repubblicane e federali: questa sarebbe stata la condizione per creare una corrente ascendente di sovranità  che unificasse il continente. Un’utopia pragmatica. Un segno di lungimirante realismo che riposava sulla conoscenza della storia del continente, delle guerre mondiali e delle rivoluzioni, delle crisi economiche, delle carestie, delle emigrazioni bibliche. Senza l’Europa politica nessuna Europa sarebbe stata realistica. Questo era lo spirito di Ventotene. E tra i rischi più subdoli che il Manifesto indicava vi era il seguente: nell’evenienza di crisi economiche, sembrerà  a qualcuno conveniente cercare di far leva sul sentimento patriottico per attuare la «restaurazione dello Stato nazionale». Avere Stati democratici non avrebbe reso il nazionalismo meno problematico, perché i politici eletti, «desiderosi di rappresentare la volontà  popolare, facilmente finirebbero per diventare, nelle loro varie tendenze, strumenti di questo o quel gruppo particolare, mirante a conquistare la direzione dello Stato e ad impiegarne la forza per far valere i propri particolari interessi». Ecco perché tra gli scopi prioritari del Manifesto figurava l’impegno a indirizzare l’Europa del dopo totalitarismo verso obiettivi politici: la costruzione di un’ossatura istituzionale con lo scopo di dare vita a una democrazia sociale. Pace nella libertà  perché pace nella giustizia e nell’equità . Non pace soltanto. Perché nessun’alleanza avrebbe potuto funzionare se gli Stati europei non si fossero dati obiettivi ambiziosi come questo.

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