Doppi incarichi e tagli: la radiografia degli stipendi
ROMA — Che si debba tagliare non ci piove. Anche se non manca chi spera che la sforbiciata agli indecenti privilegi retributivi spettanti per legge a certi doppi incarichi possa partire non subito, ma dal prossimo giro. Il cosiddetto decreto «salva Italia» ha stabilito che chiunque «è chiamato» («chiamato già ora o chiamato domani?», è l’angoscioso dilemma sollevato da questa formula ambigua che fa scervellare i tecnici) a ricoprire incarichi direttivi in ministeri, enti pubblici e authority non possa intascare una somma aggiuntiva superiore al 25% dello stipendio di destinazione. Oggi invece accade che un magistrato nominato componente di un’autorità indipendente incassa l’indennità super dell’authority più la paga da giudice: anche se il giudice non lo fa.
Va detto che esistono situazioni di incarichi multipli perfino più surreali. Gaetano Caputi, per esempio, sfida la legge sull’impenetrabilità dei corpi: è contemporaneamente in due authority. L’ex capo dell’Ufficio legislativo del ministro Giulio Tremonti è direttore generale della Consob. La carica vale 395 mila euro. Ma Caputi è anche componente della Commissione di garanzia per gli scioperi: altri 95.697 euro. Con un paradosso. Che applicando la regola del 25% allo stipendio da direttore della Consob, potrebbe addirittura aumentare la propria retribuzione di 3 mila euro. Da 490.697 a 493.750. Già . La vera perdita, per lui, sarebbe quella del terzo stipendio: la paga da professore della Scuola dell’Economia e Finanze, dov’è fuori ruolo.
Piangerebbe Caputi, ma non riderebbe nemmeno Paolo Troiano, consigliere di Stato e componente della Consob con 322 mila euro di emolumento. Per non parlare di altri suoi colleghi, come Luigi Carbone, membro dell’Autorità dell’Energia. Oppure Sergio Santoro, che dal consiglio di Stato ha traslocato all’Autorità per la Vigilanza dei contratti pubblici: giusto dopo aver presieduto un arbitrato da 40 milioni fra Condotte e il ministero delle Infrastrutture. O ancora il componente dell’Agcom Nicola D’Angelo. Sempre che, naturalmente, il taglio scatti da subito.
Ma non c’è dubbio che in un governo pieno zeppo di consiglieri di Stato e burocrati pubblici il taglio possa avere l’effetto di mutilare retribuzioni potenzialmente faraoniche, grazie al regalone del doppio (o triplo) stipendio. Per il sottosegretario a Palazzo Chigi Antonio Catricalà , che sommava l’indennità da presidente dell’Antitrust allo stipendio di presidente di sezione del Consiglio di Stato, si profila un salasso notevole. Addolcito comunque dall’ineluttabile fato: il suo incarico era comunque in scadenza e non rinnovabile. Alla fine gli è andata quasi bene. Mentre Patroni Griffi ha rinunciato, oltre alla paga da magistrato, anche a un sontuoso arbitrato del valore di 536 milioni fra la Fiat e la Tav. Ma nemmeno lui si può lamentare.
Danni veramente limitati, invece, se «danni» è la parola giusta, per Antonio Malaschini. Non conoscendo i numeri precisi che avremmo invece pieno diritto di sapere (ancora aspettiamo la trasparenza promessa da Mario Monti) possiamo solo fare supposizioni. Come componente del governo, l’ex segretario generale del Senato ha diritto a uno stipendio di circa 200 mila euro lordi (la paga da sottosegretario più una indennità pari a quella dei parlamentari). A questa si sarebbe sommata integralmente la retribuzione da consigliere di Stato, e qualcuno un giorno ci spiegherà perché gli alti papaveri del Parlamento quando vanno in pensione (d’oro) vengono tutti graziosamente omaggiati con una poltrona a Palazzo Spada. Secondo la regola del 25% tale supplemento verrebbe tuttavia falcidiato di 80-100 mila euro. Ma c’è un fatto: Malaschini ha un trattamento previdenziale che sarebbe improprio definire «pensione»: siamo sul mezzo milione l’anno. E questo, contributo di solidarietà a parte, non lo tocca nessuno. Con l’incarico di governo ci ha dunque addirittura guadagnato.
Un altro che certamente non ci rimetterà è il giovane dirigente di Palazzo Madama Federico Toniato, che si è trovato improvvisamente vicesegretario generale di Palazzo Chigi. Un avanzamento di carriera e di stipendio (pure con la tegola del 25%) inimmaginabili. Ma per uno come lui, capace di schiudere le porte del Vaticano a Malaschini e al presidente del Senato Renato Schifani, ricevuti in udienza privata da Benedetto XVI insieme al suddetto Toniato e alle rispettive consorti, era il minimo.
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