Disoccupato un giovane su tre Donne al Sud a quota 40%

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ROMA — Un giovane su tre fra i 15 e i 24 anni (studenti esclusi) è disoccupato. E per chi entra nel mondo del lavoro sono sempre più frequenti i contratti precari. È questa la fotografia drammatica che emerge dai dati Istat diffusi ieri. A novembre la disoccupazione giovanile è balzata al 30,1% (dal 28,3% dell’anno precedente), con punte vicine al 40% fra le donne nel Mezzogiorno. Ma non sono solo i giovani a pagare gli effetti della lunga crisi. Il tasso generale di disoccupazione è salito dall’8,2% del novembre 2010 al 8,6%. E il ricorso ai contratti precari è in rapida crescita (+7,6%), mentre oltre il 10% degli occupati ha un contratto a termine. E, ancora, dall’aprile 2008 a oggi il numero degli occupati in Italia è calato di 670 mila unità . «Nel frattempo i dati probabilmente sono peggiorati ulteriormente, perché la situazione economica del Paese continua a peggiorare», è l’amaro commento che trapela dai tecnici del ministero al Welfare, mentre i sindacati vanno all’attacco. «Adesso basta parlare di articolo 18: i problemi del mercato del lavoro sono altri, bisogna creare occupazione senza creare altra precarietà », dicono Cgil, Cisl, Uil e Ugl. Il numero complessivo degli occupati ammonta a quasi 23 milioni di unità , con un calo dello 0,1% (-28 mila posti di lavoro) rispetto a ottobre e dell’0,3% nel confronto con l’anno precedente. Il dato sarebbe ancora più drammatico senza le misure sulle pensioni: l’inasprimento dei requisiti previdenziali e lo slittamento delle «finestre» per l’effettivo conseguimento del diritto all’assegno mensile hanno ritardato l’uscita dal lavoro di quasi 170 mila over 55. Insomma, mentre i giovani sono disoccupati, i padri restano al lavoro più a lungo. I disoccupati sono invece 2 milioni e 142 mila: 15 mila in più rispetto a ottobre (+0,7%) e 114 mila in più rispetto a novembre del 2010 (+5,6%). L’aumento della disoccupazione riguarda però esclusivamente la componente femminile della popolazione. Il calo dell’occupazione invece è legato per lo più alla chiusura di ditte individuali e di attività  autonome, perché — spiegano dall’Inps — «le grandi imprese e l’industria hanno già  ridotto il personale nei primi mesi della crisi; adesso tocca alle microimprese che magari con gli sforzi economici dei titolari hanno cercato di resistere, ma senza farcela». Secondo fonti all’ispettorato del lavoro di Roma, fra l’altro, a fronte del calo dell’occupazione c’è sicuramente «una forte componente di aumento del lavoro nero che non è censita dall’Istat, ma i cui segnali sono evidenti in settori come l’edilizia, soprattutto nelle piccole ristrutturazioni e nei lavori privati». Il dato più allarmante fra quelli diffusi ieri è secondo la Cisl un altro: «La disoccupazione di lunga durata (cioè oltre i 12 mesi) ha raggiunto nel terzo trimestre del 2011 un’incidenza record del 52% sul totale, a testimonianza della sempre maggiore difficoltà  a reimpiegare le persone che perdono il lavoro», ha sottolineato Giorgio Santini, segretario generale aggiunto del sindacato di via Po. Per Fulvio Fammoni, Cgil, «bisogna smetterla di parlare di licenziamenti più facili, sono già  troppi gli attuali, e puntare sul rilancio produzione e sviluppo». Guglielmo Loy, della Uil, ha parlato di «quadro allarmante», perché «si sta assistendo a un’inesorabile erosione del nostro mercato occupazionale. Una riforma del mercato del lavoro, seppure necessaria, non può viaggiare da sola se non si creano nel contempo le condizioni per una crescita della nostra economia anche attraverso un intervento fiscale che favorisca reddito e consumo». Per Cesare Damiano, capogruppo del Pd in commissione Lavoro alla Camera, c’è «il rischio di uno choc occupazionale per il 2012; occorre porre rimedio rapidamente. I due punti cardine della manovra di governo devono essere risorse destinate alla crescita e ammortizzatori sociali capaci di affrontare una situazione grave e straordinaria. Il problema non è quello di facilitare il licenziamento, ma quello di tutelare le persone che non hanno il lavoro e lo perdono, e di favorire con azioni di sviluppo la possibilità  di nuova occupazione». Paolo Foschi


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