by Editore | 21 Gennaio 2012 11:52
Uno dei grandi misteri della mente è il fatto che siamo in grado di pensare a cose che non potremo mai vedere o toccare. In che modo riusciamo a rappresentare e a ragionare su entità astratte come il tempo, la giustizia o le idee? La nostra esperienza del mondo è fisica e si effettua attraverso la percezione sensoriale e l’azione motoria. Eppure le nostre vite mentali interiori vanno ben oltre quanto osserviamo attraverso l’esperienza fisica – inventiamo sofisticate nozioni di numero e tempo, teorizziamo sugli atomi e le forze invisibili, ci preoccupiamo di cose come l’amore, la giustizia, le idee, i fini e i principi. La capacità di trascendere cognitivamente la sfera fisica è uno dei tratti caratteristici dell’intelligenza umana. In che modo dunque organismi fisici che captano i fotoni con gli occhi, reagiscono alle pressioni fisiche sulle loro orecchie e piegano le ginocchia o curvano le dita dei piedi quel tanto necessario a sfidare la legge di gravità sono in grado di elaborare ragionamenti su quanto non è percepibile? Da Platone, giù giù fino a Darwin il mistero del pensiero astratto ha tormentato gli studiosi.
Tra le diverse soluzioni proposte ce n’è una secondo la quale le rappresentazioni della sfera astratta potrebbero essere costruite attraverso estensioni analogiche di contesti maggiormente fondati sulla esperienza. In altre parole, per elaborare le rappresentazioni mentali di entità astratte o intangibili, noi ci serviamo delle rappresentazioni che abbiamo sviluppato rispetto ad ambiti più tangibili e concreti.
In particolare, il tempo è un tema di interesse centrale in molte culture. La parola «tempo» è il nome usato più di frequente nella lingua inglese, affiancato da altri termini temporali, come «giorno» o «anno», nella classifica dei primi dieci. Il tempo è onnipresente e insieme effimero. Compone il tessuto stesso della nostra esperienza ma non si può percepire: non lo vediamo, non lo tocchiamo, non lo annusiamo. Come possiamo quindi rappresentare mentalmente e organizzare questo territorio così fondamentale della nostra esperienza? Per rappresentare il tempo, i popoli di tutto il mondo si affidano allo spazio.
Noi spazializziamo il tempo in manufatti culturali come i grafici, le linee cronologiche, gli orologi, le meridiane, le clessidre e i calendari; traduciamo in gesti i rapporti temporali e attingiamo abbondantemente a parole spaziali (per esempio: «avanti», «addietro», «lungo», «breve») per parlare dell’ordine e della durata degli avvenimenti. Anche le rappresentazioni individuali mentali del tempo sono, a quanto pare, basate sullo spazio: dati spaziali di importanza secondaria influiscono rapidamente sui giudizi di ordine temporale e di durata, e le persone sembrano implicitamente e automaticamente generare rappresentazioni spaziali quando pensano al tempo. Tuttavia i modi specifici con i quali il tempo viene spazializzato differiscono a seconda delle lingue e delle culture. Ricerche condotte in diverse aree geografiche hanno rivelato enormi variazioni nelle rappresentazioni del tempo. In tutto il mondo, per esempio, le lingue ricorrono a termini di ordine spaziale per parlare del tempo. In alcuni casi è addirittura difficile se non impossibile parlare del tempo senza evocare un linguaggio legato allo spazio. Le lingue però mostrano grandi differenze nei termini spaziali più usati a proposito del tempo. Così, a seconda della nostra lingua, vedremo il futuro stendersi davanti a noi (inglese), dietro di noi (aymara) o sotto di noi (cinese mandarino).
Resta da chiedersi in quale misura queste differenze nelle metafore impiegate abbiano un peso nel modo in cui le persone organizzano mentalmente l’ambito del tempo.
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