Dal buco al suicidio di Cal L’anno orribile dell’istituto

by Sergio Segio | 2 Gennaio 2012 9:29

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MILANO — «La morte? La vedo come un invito a salire sul set del più grande spettacolo di vita». È salito sul set don Luigi Maria Verzé (dove il Maria se lo aggiunge lui a vent’anni quando viene folgorato da una visione della Madonna per inoltrare, poi, nel 2003 una pratica prefettizia e ottenerne l’attribuzione legittima). Il fondatore del San Raffaele è morto a 91 anni nel giorno in cui l’ospedale è andato all’asta. È come un cerchio che si chiude nel giro di dodici, drammatici, mesi. L’annus horribilis di don Luigi Verzé inizia 376 giorni fa, il 22 dicembre 2010, quando il prete manager rischia di morire per una crisi cardiaca. È in quell’occasione — proprio durante le vacanze di Natale — che l’allora ministro alla Salute Ferruccio Fazio (già  primario del San Raffaele) e l'(ex) amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera (oggi ministro), telefonano ai membri del consiglio di amministrazione della Fondazione Monte Tabor, la holding che guida il polo ospedaliero. La richiesta è di trovare una soluzione rapida al pesante indebitamento. Il motivo? Senza la figura di don Verzé, padre padrone del San Raffaele, la situazione rischia di diventare ingovernabile. Così il 23 marzo 2011 don Verzé, ristabilitosi, è costretto a rimettere i piedi per terra. Soldi e debiti sono un problema suo e contingente. Il distacco dell’uomo di Chiesa che riconduce tutto a Dio («I soldi? Se ne occupa l’azionista di maggioranza») comincia a scontrarsi con la pressione terrena di banche e fornitori. Quel giorno un consiglio di amministrazione della Fondazione Monte Tabor annuncia di fatto la crisi. Don Verzé scrive una lettera e il senso è: tranquilli, crisi passeggera, il gruppo è forte e sano, in due mesi sarà  tutto a posto. Diagnosi sbagliata. Quel consiglio è, però, un punto di svolta. Il pallino della gestione non è più una prerogativa esclusiva dei manager del San Raffaele. Adesso si gioca in campo aperto. Le banche più esposte sono Intesa Sanpaolo e Unicredit. Ma sul miliardo di debiti (1,5 miliardi è un «aggiustamento» successivo), due terzi sono verso i fornitori. Si fa credere che entro maggio il San Raffaele possa essere già  in sicurezza. E i bilanci? Segreti. È la clamorosa anomalia di un gruppo da oltre 600 milioni di fatturato (due terzi con la Regione Lombardia) che non ha bilanci pubblici. La holding è una fondazione che si comporta come una società  off shore. È una condizione di extraterritorialità  che ha garantito anni di tranquilla e allegra gestione. All’inizio dell’estate il piano originario è già  superato. Improvvisamente revisori e sindaci si svegliano dal torpore e scoprono il buco su cui erano seduti. «Tranquilli, crisi passeggera», non lo dice più nessuno. Si comincia a parlare di crac. Le piantagioni brasiliane, il jet da 20 milioni, l’hotel in Sardegna appaiono sempre meno estemporanee divagazioni e sempre più simbolo di una grandeur incontrollata che ha condotto al crac. Ci vuole un socio industriale di peso. Si fa avanti Giuseppe Rotelli del gruppo ospedaliero San Donato con una proposta concreta. Si muove anche la Santa Sede con la promessa di intervento. È fine giugno. Il vertice del San Raffaele si spacca. Mario Cal vuole Rotelli ma prevale don Verzé che apre agli uomini del cardinal Bertone. Il Vaticano prende in consegna la Fondazione a metà  luglio. Intanto è già  partita l’inchiesta della Procura di Milano sul crac e il pm Luigi Orsi interroga Mario Cal. Il 18 luglio Cal si spara sotto l’ufficio di don Verzé. È uno choc. Un uragano che squarcia il muro di complicità , omertà  e soggezione eretto intorno ai vertici dell’ospedale. Si sussurra del «nero» con i fornitori, di tangenti a uomini politici, di conti esteri. Spunta la figura del faccendiere Pierangelo Daccò, regista degli affari sommersi del San Raffaele. Il fallimento è a un passo, lo vorrebbe anche la Procura, ma il progetto presentato dallo Ior e dall’imprenditore Vittorio Malacalza ottiene il via libera del Tribunale fallimentare. Ok dunque al concordato preventivo a patto, però, che anche altri possano presentare offerte. A novembre la Procura arresta il faccendiere Daccò, l’inchiesta entra nel vivo. Anche don Luigi Verzé è indagato. L’aggravarsi delle condizioni di salute lo portano alla morte il 31 dicembre (40 anni dopo l’arrivo del primo malato al San Raffaele) nel giorno in cui l’ospedale è al centro di una sfida tra i big della Sanità . Alla gara per acquistarlo, per il momento, si è presentato l’imprenditore Giuseppe Rotelli con 305 milioni contro i 250 milioni di Ior e Malacalza. Ma è interessato anche l’industriale Gianfelice Rocca (gruppo Humanitas). Fino al 5 gennaio chiunque può rilanciare. Entro il 10 gennaio, invece, Ior e Malacalza decideranno se tenersi il San Raffaele pareggiando l’offerta più alta. E così comincerà  l’anno 1 D.V. Dopo Verzé. Mario Gerevini Simona Ravizza

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