by Editore | 4 Gennaio 2012 9:22
«C’era un’eccitazione vivace e febbrile intorno agli scaffali e alle ceste dove gli articoli venduti al ribasso — pizzi a dieci centesimi, nastri a cinque soldi, giarrettiere a tre, guanti, sottovesti, calze e cravatte — si inabissavano, sparivano, come inghiottiti da una folla vorace». Forse, se si vuole scrivere una piccola Storia del saldo contemporaneo, bisogna partire da qui, da questa descrizione fantasiosa ma non troppo, di certo preveggente, che Emile Zola, grande cantore delle smanie di fine Ottocento, fece nel 1883 nella sua opera Il paradiso delle Signore, romanzo che ha per teatro proprio un grande magazzino, ispirato al francese Au Bon Marché, pioniere del genere nato nel 1852.
Perché la frenesia ad accaparrarsi la buona occasione a prezzi irripetibili, che accendeva quelle folle immaginate da Zola, ha poi veramente colpito nel secolo seguente grandi masse di consumatori e oggi arriva fino a noi, con le scene da isteria collettiva che si ripetono ogni anno: rito globale del mondo «civilizzato», cui ci auguriamo non si sottrarranno le folle metropolitane contemporanee in questa vigilia di saldo 2012, per dare un po’ di ossigeno a un mercato martoriato e in crisi di fiducia.
Affinché il sistema dei saldi diventasse qualcosa di più strutturato e organizzato intorno a date precise bisognerà aspettare il secondo dopoguerra, quando, dopo i due conflitti mondiali, decollò il consumismo, anche se la data ufficiale di nascita del Saldo come lo intendiamo noi sta a cavallo fra il 1913 e il 1914, periodo in cui Macy’s, il grande magazzino americano, trovandosi ad avere dei forti stock invenduti a causa di acquisti sbagliati, decise la prima svendita in grande stile. In Italia arrivò per primo Upim, esempio di grande magazzino a prezzo unico (erano 25 in Italia nel 1934), che su modello del francese Bonne Marché chiamò i suoi sconti di fine stagione Ribassi (in Francia Vente au Rabais), parola allora più nobile di saldi, forse perché legata a un linguaggio finanziario non ancora criminalizzato.
Ma poi Saldi (Sales in America, Soldes in Francia) prevalse in tutto il mondo, sinonimo di una licenza di acquisto spensierata e vorace, di una vacatio gioiosa dei sensi di colpa, complice proprio quella riduzione del 30, 40, 50 per cento e a volte più, che volatilizzava ogni remora.
In Inghilterra Harrods, il grande magazzino famoso per soddisfare ogni desiderio di acquisto, si distinse anche qui: sotto il regno del proprietario Mohammed Al Fayed (padre di Dodi, morto insieme a Lady Diana nel tunnel parigino dell’Alma) si inaugurò la tradizione di far benedire la season dei saldi a una madrina d’eccezione che arrivava in carrozza trainata da due cavalli neri; nel 1999 toccò a Sophia Loren, accolta sull’uscio da Al Fayed in un tripudio di palloncini e fuochi d’artificio.
Negli anni Settanta si cominciò a chiamare Black Friday, venerdì nero, il giorno dopo Thanksgiving, quando negli Stati Uniti le attività sono sconvolte dall’inizio della stagione natalizia, con prezzi di favore per un giorno: si narra che la prima città ad accorgersi degli effetti dei saldi sul traffico, e di conseguenza a coniare il neologismo entrato ormai nel linguaggio comune planetario, sia stata Philadelphia. Anche se esiste un’interpretazione recessiva ma più ottimista della faccenda: i conti dei negozianti che passano dal rosso al nero.
Anche da noi il saldo è entrato presto nell’immaginario collettivo — basta pensare al titolo dell’album di un cantautore popolare come Roberto Vecchioni, Saldi di fine stagione del 1972 — anche se per lungo tempo è stato guardato con un certo sospetto dalle associazioni dei consumatori, considerato cavallo di Troia di un consumismo efferato piuttosto che vera chance di acquisto: «In genere si fanno dopo l’Epifania, stagione morta, e hanno lo scopo di inserire in un mercato stanco, quando la gente ha già consumato quello che doveva, il bisogno di nuovi consumi. Insomma è un consumo inventato, una vera pestilenza, perché è un fattore in più, ingiustificato nella maniera più assoluta, di consumismo». Correva l’anno 1977 e così dichiarava Anna Bartolini, direttrice diAltroconsumo (rivista del Comitato difesa Consumatori) a Gian Antonio Stella sul Corriere. Adesso i problemi sono altri e semmai si invoca anche per i saldi una maggior liberalizzazione, a cominciare dalle date, nella speranza di combattere, per quanto a tempo, la crisi.
Ma anche se per questa tornata ci troviamo costretti a guardare con qualche indulgenza alla frenesia da Saldo, dobbiamo essere consapevoli che trattasi di tattica dilatoria e non di strategia per il futuro, di respirazione bocca a bocca e non di panacea salvifica, come ricorda Bruno Ballardini nel libro che fin dal titolo suona come un campanello d’allarme: Gesù e i saldi di fine stagione. Ballardini, è vero, si riferisce alla strategia di marketing della Chiesa cattolica, ma se si vorrà evitarli, i saldi di fine stagione, nella Santa Sede come nel mercato in generale, bisognerà sapersi rimettere in gioco a largo raggio
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