by Editore | 31 Gennaio 2012 8:46
«Sono stati commessi errori», ma il Partito comunista cubano resta l’unico «erede» della rivoluzione condotta da Fidel e l’unica guida politica che possa attuare la «modernizzazione» del modello socialista cubano, prodotto di quella rivoluzione. E’ stato chiarissimo il senso del discorso con cui domenica il presidente – e primo segretario del Pcc – Raàºl Castro ha concluso la prima conferenza nazionale del partito.
E’ necessario procedere a una democratizzazione della vita interna del partito, riducendo il «verticalismo» che induce al «falso unanimismo» e all’opportunismo e stimolando il «dibattito interno», come pure sganciare il Pc dalla gestione diretta dello Stato confermando invece il suo ruolo di «avanguardia» e controllo politico, rendendolo più reattivo alle richieste della società cubana. E, secondo il presidente, sia il lavoro preparatorio svolto in decine di migliaia di riunioni con i quadri e con la popolazione, sia il lavoro in commissioni della conferenza hanno dimostrato che è in corso un «profondo processo democratico». Ma di aperture a altre forze o movimenti politici, nemmeno parlarne perché il multipartitismo a Cuba significherebbe «legalizzare il partito o i partiti dell’imperialismo» e mettere in pericolo l’indipendenza del paese.
La chiesa cattolica, unica istituzione che gode di una certa autonomia di espressione, aveva richiesto (editoriali sia del mensile dell’arcivescovado dell’Avana, Palabra Nueva, sia della più “teorica” Espacio Laical) che dopo le riforme economiche sociali Raàºl lanciasse segnali anche «di una riforma politica» che desse voce alle richieste della società civile cubana. Dalla vicina Florida, che oggi sceglierà il suo candidato alle primarie del partito repubblicano per le presidenziali del 2012, giungono echi particolarmente minacciosi. Il tema cubano, ovviamente al centro del dibattito, ha permesso al candidato della destra radicale Newt Gingrich e a quello dell’establishment repubblicano Mitt Romney di alzare la voce contro «la dittatura dei Castro» e contro «i cedimenti» del presidente Obama per cercare di accaparrarsi i voti dei cubano-americani anti-castristi. Il primo, ha addirittura minacciato un intervento militare nell’isola, se fosse necessario. Ve ne è a sufficienza perché il leader cubano sollevasse la questione delle persistenti politiche di ingerenza, blocco economico e minacce alle conquiste del socialismo da parte del «Golia del nord».
Messo dunque in chiaro che le «conquiste del socialismo» e della sua guida politica non si toccano, il presidente ha riconosciuto che è necessario «promuovere la democrazia nella nostra società iniziando dal partito» e ha incitato tutti i militanti a esporre le loro idee e anche critiche «all’interno del partito e non nei corridoi», combattendo la cultura dell’«unanimismo» con la pratica della partecipazione e del dibattito. «Gli errori del passato», il fatto che siano lasciate «alla polvere» le decisioni del primo congresso (sul ruolo del partito) e l’inefficacia dei controlli contro la corruzione, ha detto, costituiscono per il futuro del socialismo cubano. Raàºl ha perciò indicato come prioritaria la lotta contro la corruzione: «E’ una battaglia che il nostro paese può vincere, primo frenandola, poi debellandola , sempre rimanendo nell’ambito della legge». E ha ripetuto la consegna di prestare attenzione alle richieste e anche alle critiche che vengono dalla popolazione.
Senza esprimerlo apertamente, il presidente ha riconosciuto che è fondata l’analisi di chi – anche all’interno del Pcc – ritiene che il partito-stato attraversi una crisi di consenso e di valori etico-politici (corruzione e doppia moralità ). Dunque una crisi di egemonia politica nei confronti di una società che ormai si è stratificata (a livello economico, sociale e anche ideologico) rispetto a quella degli anni ’60 del secolo scorso e richiede, oltre che riforme della struttura economica, una più articolata partecipazione politica.
Una delle commissioni della conferenza ha preso in esame le indicazioni giunte dalla base che riguardano la sotto-rappresentazione nel partito di giovani, donne, neri e mulatti. In sostanza, si tratta del rapporto tra il Pc e le organizzazioni di massa (giovani, donne, lavoratori, la questione razziale è ancora più articolata) divenute più “cinghie di trasmissione” di un partito assai «verticalizzato» che strumenti di una società civile. Lo stesso Raàºl ha in più occasioni sollevato il problema di un ricambio (e ringiovanimento) nelle strutture direttive. Domenica ha riconfermato l’intenzione di limitare ad un massimo di due periodi di cinque anni la durata delle alte cariche dello Stato – compresa la presidenza, pare di capire – ma ha dovuto ammettere che le giovani leve non sono ancora mature per prendere il posto degli attuali massimi dirigenti (molti dei quali sono ultra-settantenni). E’ previsto comunque un rinnovamento del 20% del comitato centrale, mentre la partecipazione delle donne ha già subito un deciso incremento dall’inizio dello scorso anno (37% nell’amministrazione centrale dello Stato e il 41% negli organismi del Poder popular).
A più livelli nelle commissioni e con enfasi dal presidente è stato ripetuto che il compito principale dei militanti oggi è sostenere e mettere in pratica le modernizzazioni (riforme) approvate l’anno scorso dal sesto congresso del Pc e in corso di attuazione da parte del governo. Il continuo richiamo del vertice indica che tra i quadri e nella burocrazia di Stato vi sono resistenze a una serie di misure destinate a modificare struttura produttiva e stratificazione sociale, diminuendo il ruolo (e dunque il potere di controllo, che favorisce la corruzione) di funzionari, burocrati e quadri. La crisi economica (globale) rende però urgente procedere nell’attuazione delle riforme che prevedono di ridurre drasticamente il ruolo dello Stato nella produzione di beni e servizi a favore del settore privato (“cuentapropistas”) e di quello cooperativo. Le licenze per cuentapropistas a livello nazionale hanno superato quota 360.000 (circa centomila all’Avana) ma è ancora nettamente in ritardo il piano che prevedeva di “trasferire” entro lo scorso anno mezzo milioni lavoratori dal settore statale (e di arrivare entro il 2016 a più del 40% del Pil prodotto da privati e cooperative). per risolvere i problemi, ha affermato Raàºl. Ma il presidente è consapevole che un rallentamento eccessivo nell’attuazione delle riforme può generare disillusioni e anche tensioni in una società provata da più di 50 anni di embargo Usa.
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