by Editore | 20 Gennaio 2012 4:37
Vent’anni da Generazione X, Douglas Coupland, romanziere e artista canadese, pubblica con Isbn Le ultime cinque ore. È la storia di cinque persone intrappolate nel bar di un hotel di un aeroporto mentre seguono dalla televisione la catastrofe ambientale che segna la fine del mondo come lo conosciamo. Come i migliori libri di Coupland – Generazione X, Jpod, Microservi – è un romanzo di idee sul futuro, sulla condizione dell’uomo tecnologico, le sue esigenze spirituali, il suo rapporto con la natura e con la memoria. Esce, insieme a una nuova edizione di Tutte le famiglie sono psicotiche (2003), con Isbn, che ha già pubblicato Generazione A e ripubblicherà l’intera opera.
Le ultime cinque ore sembra un libro di profezie.
«Io lo vedo più come un racconto di eventi del presente, come amplificati. Credo che la fantascienza sia più o meno tutta così. Sono appena stato a un simposio letterario in Florida (KWLS. org) dove il tema di quest’anno era Il Futuro. Ho passato tre giorni con William Gibson e Michael Cunningham, Margaret Atwood e Jonathan Lethem, e la cosa su cui eravamo tutti d’accordo era che la fantascienza ormai è quasi sempre il presente lievemente modificato. Se la narrativa diventa più strana è perché il presente è sempre più strano. La paura del futuro è sempre direttamente proporzionale al tasso di cambiamento delle tecnologie di comunicazione di un paese».
Questo libro parla di apocalisse e qui da noi esce nel “temuto” 2012: cosa accade dopo il picco della produzione del petrolio? E dopo il fallout radioattivo?
«Il petrolio è la questione principale. Ricordo lo shock petrolifero del ’73, come il mondo si fermò. Quindi Le ultime cinque ore non è neppure fantascienza. Quanto al fallout, quel tema, nel libro, è solo un modo amplificato di parlare delle sostanze chimiche che ingeriamo ogni giorno».
Parla di una nuova relazione fra uomo e terra. A cosa pensa?
«A un rapporto senza arroganza, spero. Stiamo passando dall’Era dell’Individuo, creata dalla lettura di testi, all’Era dell’Individuo Fra Tanti, creata dalla lettura di Internet».
La premessa di Generazione A è l’estinzione delle api. Come usa le previsioni scientifiche come base per la fantascienza?
«A casa Coupland io ero il figlio che voleva diventare dottore, perciò quando alla fine scelsi di studiare arte fu un trauma familiare. A volte mi chiedo se non stia cercando di espiare il mio rifiuto di fare scienze. Ma amo la scienza. Credo che il grosso dei cambiamenti del pensiero moderno da 1995 a oggi siano avvenuti per la scienza, mai per la teoria. Invece di Marx o Lacan o McLuhan abbiamo Google e Facebook. Per ora ci bastano».
Kurt Vonnegut disse una volta a degli studenti: «Vi dichiaro Generazione A: siete al principio di una serie di incredibili trionfi e fallimenti come furono tanti anni fa Adamo ed Eva».
«Non è adorabile? Se pensi ai quintilioni di coincidenze che possono capitare in un giorno… e se pensi che invece di autentiche coincidenze ne capitano poche ogni anno, quasi mi viene da chiedermi se l’universo non funzioni esclusivamente come sistema di prevenzione delle coincidenze. E quando se ne verifica una, le è toccato darsi parecchio da fare. Per cui forse gli errori non sono proprio errori».
La terra, dice un suo personaggio, è stata creata per due miliardi di persone.
«Non sono d’accordo: al massimo 500 milioni».
Dopo il picco petrolifero diminuirà la popolazione mondiale?
«Be’, a voler essere deprimenti, ci sarà un giorno – chissà quando – in cui morirà l’ultimo essere umano. Per quanto cerchiamo buone notizie, alla lunga siamo spacciati».
Il picco c’è già stato?
«C’è stato il picco di un certo modo di pensare. Molto di ciò che ha definito il ventesimo secolo era insostenibile e non avrebbe potuto continuare com’era. Per cui dobbiamo rinunciarvi. Un pianeta di sette miliardi di individui è un disastro. Un pianeta di sette miliardi di persone consapevoli delle proprie interconnessioni invece può andare».
Nei suoi libri, un certo senso di perdita e incompletezza sembra inevitabilmente associato alla generazione X. Viene da pensare che ciò dipenda da una nuova idea di onestà emotiva.
«Mi piace l’idea di una nuova idea di onestà , di qualunque origine sia. È essenziale, se vogliamo far bene. I giovani mi lasciano di stucco per il loro senso di giustizia e dei diritti e della moralità . Mi infurio con chi dice che i giovani non capiscono niente. Non hanno esperienza, per forza, ma ci capiscono. Il tredicenne medio di oggi è molto più dentro le cose di un diciottenne del 1978».
Si sente parte di una tradizione?
«Ora direi di sì. Mi sentivo al confine del mondo letterario, ora mi sento parte del paesaggio e non una semplice stranezza. Ci sono voluti vent’anni. Se avessi rinunciato, sarei perso».
Vale la pena continuare a leggere romanzi?
«Uno dei pochi vantaggi del mio lavoro è ricevere in anteprima romanzi dagli editori in cerca di pubblicità . Uno su sei di solito è splendido. Se no, leggo nonfiction: opere scientifiche o poetiche sulla percezione, il tempo e il sé. Ma se non leggi romanzi non li puoi scrivere. Non ho ancora un Kindle, ma sembrano aver aumentato parecchio il numero di lettori. D’altra parte, ero in Florida e volevo comprare i nuovi saggi di William Gibson. Anche lui era alla conferenza, nella stanza accanto alla mia, e volevo che me lo autografasse, e mi sono reso conto che non so nemmeno se negli Stati Uniti hanno più librerie per i libri appena usciti. Sono dovuto andare su Internet, dove ho scoperto che la più vicina era a tre ore…».
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