Così le nostre parole sono diventate di plastica

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Lui il presentatore, lei l’italiana qualsiasi, l’altro il marito o il fidanzato. Com’è l’altro? chiede il presentatore. E lei raggiante: solare. Una sola parola magica per dire un mondo di cose: è buono, bello, generoso, altruista, mi ha sposato, mi sposerà . Il miracolo del verbo, della parola, vi dà  l’impressione di comunicare con il resto del mondo, e la televisione annulla le distanze, ti toglie dall’anonimato, ti rende noto alla moltitudine garantita dall’auditel. Sono tante le parole magiche cui gli italiani qualsiasi si aggrappano come fossero salvifiche: ironico per dire le molte cose che gli inglesi dicono con la parola understatement, o concentrato, concentrazione per dire tutti i modi e i tempi dell’attenzione, e anche un attimino, per dire non ho tempo, lui è in riunione, ha cose più importanti da fare, non posso disturbarlo. Abbiamo a nostra disposizione vocabolari con decine di migliaia di parole, ma il nostro linguaggio comune è poverissimo e ricorriamo alle parole magiche della comunicazione.
Sono l’abracadabra della nostra faticosa modernità , per cui un italiano qualsiasi ricorre ai luoghi comuni con una felicità  liberatoria, come fosse appena uscito da una babele di suoni incomprensibili, come se finalmente riuscisse a raccontare all’intera specie i suoi interni affanni, come se si liberasse da uno stato bestiale di grugniti o di sibili. Qualcuno dice che il destino dell’uomo è di salire faticosamente dal fango che lo ha formato a Dio. A giudicare dall’uso dei luoghi comuni a cui ci aggrappiamo come ad ancore di salvezza, la strada è ancora lunga assai.
L’ammirazione per le scienze e per le arti, per le vette raggiunte dagli uomini, non riesce a nascondere la modestia, l’impotenza del nostro modo di parlare che va peggiorando da quando abbiamo deciso di trascurare come robe vecchie l’oratoria e la retorica. Di parlare e anche di scrivere dei fatti più semplici ed elementari. Non parliamo della politica, che resta nelle cronache una faccenda oscura e noiosa. Anche le cronache nere, che sono le più popolari, anche la narrazione dei crimini come delle competizioni sportive sono somme di luoghi comuni, di frasi prefabbricate. Ogni volta che la televisione prova a riunire una ventina di persone per discutere un tema sociale o morale, il risultato è una confusione di voci che cercano di sopraffarsi, non solo per voglia di primeggiare, ma anche per incapacità  di esprimersi. Per tutti una lezione di modestia: ne abbiamo ancora di cammino da fare per arrivare a Dio. Concentriamoci!, come siamo soliti dire.
A che punto siamo con le letterature e con la scrittura? Al meglio possibile, si potrebbe dire: lo scrittore di oggi ha tutto a sua disposizione per conoscere il mondo della vita e se stesso, per penetrare nelle profondità  dell’inconscio, ma al contempo questa abbondanza di informazioni, di letture, di tecniche si muta in una sorta di vernice uniforme, in una pappa reale come cibo perenne, in un bagno incessante di risaputo, di usato, di mandato a memoria. La scomparsa dei dialetti, cioè delle lingue native, è il segno di questa nuova cultura umana inodore e insapore. La lingua e la scrittura create giorno per giorno dalla gente comune ma vive, la lingua dei mercati, delle carceri, delle fabbriche, degli eserciti cedono il posto alla lingua delle scuole e delle accademie, pulita, corretta ma insapore. E così è dell’oratoria. Fra un oratore del principio del secolo scorso, avvocatizio e retorico ma ancora ricco di umori e commozioni, e uno di oggi c’è come una rinuncia alla voglia di persuadere o di commuovere.
La differenza abissale fra un Mussolini e un Berlusconi sta proprio qui: che il primo voleva commuovere e il secondo vendere, il primo voleva incantare e il secondo comprare, il primo cercava di dare corpo ai suoi sogni e credibilità  alle sue promesse e il secondo ha capito che qualsiasi cosa detta da chi ha il megafono è vera o creduta vera. Il primo era nato dal socialismo e dalla sua retorica, il secondo è convinto che al mondo tutto si compra.
Che fa quando arriva a Lampedusa dove una folla di naufraghi, di fuggiaschi, di disorientati attende di conoscere il proprio destino? Compra una villa, non importa se abusiva, anzi proprio perché abusiva, per poterla regolarizzare con una legge ad personam. Berlusconi è il dio e l’interprete, il maestro di questa umanità  pubblicitaria che comunica per slogan, dipinge per marchi commerciali, fa musica o poesia o qualsiasi cosa come il bestseller, il ben venduto.
La mia generazione ha pensato di fare buona informazione, buona cultura, con la buona cronaca, onesto racconto della realtà  con il mero realismo; siamo stati superati, sommersi dallo tsunami pubblicitario, dal realismo del venduto e dell’acquistato, dal trionfo del paramercato: invece della scoperta della realtà  la scoperta del magico o dell’orribile, invece di buoni alimenti, di cibi sani, le droghe in tutte le loro varietà  e false promesse.
Le pagine letterarie e culturali dei giornali sono elenchi di bestseller, di letteratura ben venduta, di romanzi d’appendice spacciati per nuova arte. Lo scrittore di successo deve essere anche e prima un personaggio vendibile: colui che sperimenta il diverso e insolito, il noir, un po’ vizioso di natura e un po’ cronista del vizio, les fleurs du mal in versione grande magazzino, mercati generali, emporio.
Cosa fa lo scrittore per coltivare il suo successo, la sua capacità  nel raccontare? S’inventa un personaggio e lo recita, non solo ambiguo, tenebroso, fuori dal comune, ma anche incantatore, anche pifferaio delle nuove greggi conformiste, come lo erano gli EvtuÅ¡enko, gli scrittori sovietici che riscoprivano il genio e le sue pazzie.


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