Corteo e blocchi stradali contro una multinazionale sorda
Monta la rabbia degli operai Alcoa di Portovesme, nel sud-ovest della Sardegna. Il colosso mondiale dell’alluminio nei giorni scorsi ha fatto saltare il tavolo convocato dal governo a Roma per trovare una soluzione alla vertenza e ha confermato la chiusura dello stabilimento sardo: in ottocento perderanno il lavoro. Ma gli operai non ci stanno. Dopo una tesissima assemblea in fabbrica, ieri mattina intorno alle 9 in duecento hanno bloccato la strada statale 130, che collega Iglesias a Cagliari. Tolto il blocco dopo un’ora, gli operai hanno raggiunto la base dell’aeronautica militare di Decimomannu, sito strategico non solo per le forze armate italiane. Decimomannu ospita da sempre anche caccia americani e da qui sono partiti alcuni dei bombardieri impiegati da inglesi e statunitensi durante la recente crisi libica. Guerra globale e scelte dei grandi gruppi industriali Usa che distruggono lavoro: due facce, hanno voluto dire gli operai Alcoa, della stessa medaglia.
Scortati da un fitto cordone di carabinieri e di polizia, i lavoratori dello stabilimento di Portovesme hanno poi lasciato la base e si sono spostati a Cagliari. Intorno alle 11.30 hanno organizzato un sit-in davanti alla sede della prefettura. Una delegazione è stata ricevuta dal prefetto, Giovanni Balsamo, che ha assicurato «impegno massimo e informazione costante al governo» su quanto sta accadendo, ma ha anche ammesso – secondo fonti sindacali – che si vive un contesto preoccupante, nel quale sono venuti meno i parametri fondamentali per le vertenze: «Prima – ha detto il prefetto – c’erano azienda e sindacati, oggi gli interlocutori istituzionali non hanno più strumenti per risolvere i problemi, questo è il dramma». Un chiaro accenno alla rigida chiusura di Alcoa, che rende di fatto impossibile ogni tentativo di mediazione. Oggi si terrà una nuova assemblea davanti ai cancelli della fabbrica, durante la quale si deciderà che fare.
La Fiom nazionale, intanto, ribadisce il proprio impegno a sostegno della lotta degli operai sardi. «La situazione che si è creata a Portovesme – dice Laura Spezia, segretaria nazionale della Fiom Cgil – è esplosiva. La mobilitazione dei lavoratori in difesa dello stabilimento va sostenuta. Non è accettabile che venga messo in ginocchio un intero territorio, quello del Sulcis, già segnato da pesantissimi problemi occupazionali. Allo stesso tempo, non si può consentire la cancellazione della produzione di alluminio primario in Italia, un’attività economica fondamentale per il sistema industriale del nostro paese». «Il governo – dice ancora Spezia – deve imporre alla multinazionale di tenere aperti gli impianti, facendola recedere dalla decisione di chiudere lo stabilimento di Portovesme e di licenziare ottocento operai, ai quali vanno aggiunti altri duecento lavoratori attualmente attivi nell’indotto. Non c’è tempo da perdere. Il governo, che durante l’incontro di lunedì scorso a Roma coi vertici Alcoa ha riconosciuto e difeso l’importanza strategica della produzione di Portovesme, deve convocare subito un nuovo tavolo».
Nel tentativo di rompere un isolamento politico che è drammatico, ieri mattina una delegazione di operai ha incontrato Pierluigi Bersani. Il leader del Partito democratico si è impegnato a chiedere l’intervento di Monti per cercare di sbloccare la situazione. Ma, al «governo dei tecnici», Alcoa ha già sbattuto la porta in faccia. Di fronte ad un crollo verticale della domanda e del prezzo dell’alluminio sui mercati mondiali, la multinazionale vuole ridurre del 14 per cento la sua produzione, prima che il titolo crolli in borsa. In Italia, quindi, hanno detto al governo Monti i manager del colosso Usa, si chiude. Come del resto già è accaduto in due fonderie che Alcoa possiede in Texas e in Tennessee. Si ridimensiona, invece nelle due fabbriche spagnole, che ridurranno la produzione ma non chiuderanno. Impegni confermati invece in Irlanda e nei paesi arabi, dove il gruppo Usa non solo non smobilita, ma annuncia nuovi investimenti.
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