by Sergio Segio | 6 Gennaio 2012 9:34
IL CAIRO. Mubarak rischia la pena capitale. «La notte del 27 gennaio, l’ex presidente chiese di sparare sui manifestanti»: questa la ricostruzione del procuratore generale, Mostafa Soliman. È attesa per marzo la sentenza nel processo in cui il rais, dimessosi l’11 febbraio scorso, è accusato anche di abuso di potere. Arrivato in elicottero ieri mattina all’Accademia della polizia della città satellite di New Cairo, l’ex presidente, 83 anni, ha preso parte alla sesta udienza del processo iniziato il tre agosto scorso, in barella. Mentre all’esterno si raccoglievano piccoli gruppi di manifestanti pro e anti Mubarak. Insieme a loro, i familiari degli 850 morti degli scontri della scorsa primavera che brandivano cappi e marionette e mostravano le foto dei martiri, shaada, a cui è ora dedicata la fermata della metro, prima intitolata a Mubarak. «Non mi aspetto una decisione giusta da questo processo» – ha commentato Bassem, fratello dell’artista visuale Ahmed Bassiony, ucciso il 28 gennaio scorso. I familiari delle vittime temono che il processo si concluda con l’assoluzione completa dell’ex presidente. Le preoccupazioni di un’archiviazione sono cresciute soprattutto in seguito alla testimonianza del generale Hussein Tantawi che ha negato che Mubarak abbia dato ordine di sparare. Dal canto loro, i pro Mubarak fanno cerchio intorno ad Ahmed Shafiq, ultimo primo ministro nominato dal rais, e uno dei candidati ufficiali alle prossime elezioni presidenziali. Presenti e sotto accusa, anche l’ex ministro degli interni Habib el-Adly, sei leader del Partito Nazionale Democratico e i due figli del rais, Alaa e Gamal, che rischiano una condanna a 15 anni di reclusione. È attesa a ore la decisione del giudice per la divisione del processo in due tronconi. Uno inerente alle uccisioni di manifestanti; l’altro in merito alle accuse di corruzione, sperpero di denaro pubblico e cospirazione nell’esportazione di gas. Mentre uno dei principali indagati, Ahmed Ramzy, responsabile delle Forze di sicurezza centrale, non ha preso parte al processo. Di grande impatto è stata la requisitoria di Mostafa Soliman in cui ha accusato Mubarak di aver creato un «sistema corrotto», di spingere il figlio Gamal per la presidenza in un’era segnata da «finte elezioni e dittatura». Il procuratore, tra le urla dei parenti delle vittime, ha mostrato anche video in cui dei poliziotti sparano contro manifestanti indifesi. Soliman ha poi accusato Hussein Salem, imprenditore del gas ed ex ufficiale dell’esercito, di aver ottenuto proprietà pubbliche attraverso gare d’appalto truccate. Il procuratore del Cairo ha infine denunciato che il Ministero degli interni e l’Agenzia per la Sicurezza Nazionale non cooperano nelle indagini. Nel processo sono stati chiamati 2000 testimoni, tra cui ufficiali della polizia che hanno visto usare armi contro i manifestanti. Particolarmente attesa è la testimonianza del generale Sami Enan. Proprio su questo punto, la difesa di Mubarak ha minacciato il ritiro dal processo se Enan e l’ex responsabile dei servizi segreti, Omar Suleiman, non venissero ascoltati. Gli avvocati di Mubarak tentano di prendere tempo e di umanizzare il «diavolo», presentando quotidianamente il presidente malato o mentre scoppia in lacrime, alla vista del corpo trucidato del colonnello Gheddafi. Tuttavia, anche se condannato, il corpo dell’ex presidente non sarà mai un oggetto pubblico. E un giusto processo è la sfida per il sistema giuridico egiziano, ancora costruito sul vecchio apparato coercitivo che delega ai mogles el-urfiyya, consigli consuetudinari, la risoluzione di dispute tra cittadini. «Proprio dalla Corte del Cairo partirà la grande manifestazione del 25 gennaio, a un anno dall’inizio della Rivoluzione» – dichiara al manifesto Mohammed Abdel Aziz, attivista di Kifaya!. Prenderanno parte all’anniversario delle rivolte anche attivisti liberali e giovani dei Fratelli musulmani. Se non è ancora stata resa nota una posizione ufficiale del movimento, l’intenzione della Guida suprema Mohammed Badie di «voler integrare la piazza nel partito» si rivolge proprio ai giovani islamisti di sinistra della Corrente, Tyar Masri. «Chiederemo all’esercito di lasciare il potere e di non parlare di ‘altra mano’ nell’attivazione delle violenze» – aggiunge Talaat Fahami della Rivoluzione continua. Quest’ultima coalizione ha ottenuto una buona affermazione nel Delta del Nilo, secondo i primi risultati del terzo turno, annunciati oggi. Libertà e giustizia si conferma primo partito anche nel Sinai. I gruppi laici, in particolare i liberali del Wafd, si attestano al terzo posto, dopo i salafiti, con poco meno del 10%. Le tribù del nord del Sinai nella provincia di al-Arish hanno però in parte boicottato il voto oppure appoggiato gli uomini appartenenti alla propria tribù all’interno dei partiti.
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