chi l’ha Fatta Franca Banche, Autostrade…

by Editore | 22 Gennaio 2012 12:15

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Nella lotta a privilegi e corporazioni, Mario Monti ha introdotto novità  coraggiose, addirittura rivoluzionarie. Ma sarebbe ingiusto anche non sottolineare le tante retromarce fatte rispetto alle attese che la «fase due» aveva generato. Mario Monti si è presentato dichiarando guerra a privilegi delle corporazioni e rendite monopolistiche. E sarebbe ingiusto ripetere oggi quanto ha detto venerdì Silvio Berlusconi uscendo dall’aula dove si celebrava il processo Mills: «La cura non ha dato risultati». Perché nel decreto liberalizzazioni ci sono alcune novità  coraggiose. Addirittura rivoluzionarie rispetto all’apatico immobilismo del precedente governo del Cavaliere: tanto convinto del fallimento del suo successore da aspettarsi ora addirittura «di essere richiamato». Parole sue, naturalmente… 
Ma sarebbe ingiusto anche non sottolineare le tante retromarce fatte rispetto alle attese che la cosiddetta «fase due» aveva generato. Confermando la sensazione che gli oligopoli siano riusciti anche in questo caso a limitare i danni. 
Molti avevano sperato, per esempio, in un intervento molto profondo per liberalizzare il settore dei trasporti. Si è scoperto invece che la separazione fra la società  che gestisce i binari dei treni (Rete ferroviaria italiana) e quella che fa marciare locomotive e vagoni (Trenitalia) non era stata mai messa all’ordine del giorno. Potenza delle Ferrovie… Ancora. Dal 1995 si attendeva la nascita di un’autorità  indipendente per i trasporti e ora finalmente arriverà : evviva. Anche se il parto si è presentato subito difficile, come dimostra la decisione di affidarne i compiti, in una fase transitoria, a un’authority già  esistente. Quale? L’Autorità  per l’energia elettrica e il gas. Ma che c’entrano i binari e le autostrade con il petrolio e i pannelli solari? È appunto quello che si sono chiesti gli esperti dell’Istituto Bruno Leoni, sottolineando che «i due settori sono molto diversi e, quindi, richiedono professionalità  ed esperienze differenti». Non basta: «Così facendo», afferma la loro analisi, «si andrebbero ad annacquare le competenze dei commissari che, nel momento in cui le decisioni sono prese dal collegio, dovrebbero sapere un po’ di energia, un po’ di trasporti, andando a disperdere conoscenze settoriali peculiari alla materia di riferimento e necessarie. Il rischio è che, dovendo sapere un po’ di tutto, arrivino a prendere decisioni poco informate, poco specifiche e, quindi, poco adatte ed efficaci. Tale pericolo, poi, crescerebbe con l’aumentare delle dimensioni dell’autorità : mettere insieme ambiti così grandi, infatti, significa creare un mostro burocratico poco snello nelle procedure e, quindi, poco incisivo nelle decisioni». 
Certo, si tratta di una scelta transitoria. Ma nel Paese dove tutto è transitorio e i tempi non sono mai certi, questo non è affatto una circostanza rassicurante. Soprattutto considerando il formidabile peso lobbistico dei monopoli. Di cui si è avuta una dimostrazione concreta nel decreto. 
A chi ci si riferisce? Alle potentissime concessionarie autostradali riunite nell’Aiscat presieduta da Fabrizio Palenzona, nemmeno sfiorate dal provvedimento sulle liberalizzazioni.
Esiste un metodo internazionale per fissare le tariffe dei servizi pubblici, conosciuto con il termine inglese di «price cap». Basandosi sul parametro base della produttività , provoca generalmente una riduzione dei pedaggi, eliminando la quota di profitto ingiustificato derivante dal monopolio. In Italia però non viene applicato, nonostante la società  Autostrade sia privatizzata da dodici anni. Durante tutto questo periodo le tariffe non sono mai diminuite e il principale concessionario ha realizzato profitti crescenti. 
Il decreto liberalizzazioni introduce finalmente il «price cap» anche per il calcolo dei pedaggi autostradali. Ma con un particolare non trascurabile: varrà  soltanto per le nuove concessioni. Le attuali sono salve. E considerando che quella della società  Autostrade scade nel 2038…
Anche le banche sono state appena sfiorate dalla temutissima «fase due» del governo di Mario Monti, se si eccettua l’imposizione di un tetto alle commissioni sui prelievi al bancomat e l’obbligo per gli sportelli che propongono alla clientela polizze assicurative di presentare anche almeno un’offerta di una compagnia concorrente. 
E i petrolieri? Salvi anche loro: fulminei nel rincarare i carburanti quando i prezzi internazionali o le tasse aumentano, lentissimi nel tagliare i listini se le quotazioni internazionali scendono. Con il risultato di avere margini di profitto non sempre giustificati. Eppure erano quelli che secondo le previsioni avrebbero potuto subire la mazzata più pesante. In che modo? Consentendo ai benzinai di rifornirsi dal migliore offerente. Una disposizione scioccante, che è però prontamente evaporata. Ne potranno usufruire soltanto i benzinai che sono proprietari della pompa: 500 su 25 mila, il 2% del totale.
L’Eni non è riuscita invece a evitare lo scorporo di Snam Rete gas, la società  dei gasdotti. Una operazione che viene considerata dagli esperti decisiva per arrivare a una vera liberalizzazione nel settore energetico. Ma chi pensa che sia come girare un interruttore sbaglia di grosso. Le modalità  dello scorporo verranno stabilite con un decreto della presidenza del Consiglio dei ministri entro centottanta giorni. E in sei mesi possono succedere molte cose.
Per il resto, ha prevalso la logica del compromesso. Inevitabile per un governo tecnico che deve cercare i voti del Parlamento per portare a casa il risultato.

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