C’è vitalità  sul pianeta rosso, ma la sfida è l’Europa

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Eppure, eppure, per mancanza di spazio, di tempo o per dovere di cronaca, tante cose scappano all’osservatore distratto.
Quello che sta sfuggendo è la vitalità  con cui le sinistre a sinistra del Partito Socialista Europeo, cominciano a muoversi e a cercare di muoversi, finalmente direi, con politiche coordinate tra loro. Le elezioni presidenziali francesi hanno fatto da sfondo, il 18 gennaio scorso, a un incontro passato forse troppo sotto traccia, tra il candidato del Front de Gauche, ex socialista, Jean-Luc Mélenchon e l’ex social democratico tedesco, ora segretario di Die Linke, Oskar Lafontaine. Il giornale Rue 89 titola beffardamente: «Anti Merkozy – Achtung! Mélenchon renouvelle l’image du couple franco-allemand».
Le sinistre tornano a essere protagoniste non solo in Francia e Germania. Anche sul versante iberico le notizie che arrivano non sono tutte negative. Da anni oramai il Bloco de Esquerda si è imposto come una realtà  consolidata nel panorama politico portoghese, questo nonostante la grave sconfitta alle ultime elezioni che dovrebbe segnare, si spera, appena un momento di difficoltà  temporaneo e non una definitiva battuta d’arresto. Anche in Spagna la Izquerda Unida ha saputo rinascere dopo anni di oblio e ottenere una buona affermazione alle elezioni generali dello scorso novembre.
Bloco de Esquerda, Front de Gauche, Izquerda Unida e Die Linke hanno tutti saputo, nel bene o nel male, con modalità  e strutture differenti, aggregare un’area, quella della sinistra «estrema», normalmente molto litigiosa, e portarne le istanze a nuovi protagonismi. Hanno cioè saputo contrastare un declino costante durato quasi due decenni e ricucire tutto quel mondo estremamente complesso e contraddittorio che va dai comunisti ai socialisti, dai verdi ai mille movimenti sociali e civili nati, in particolare, dalle lotte per una globalizzazione più equa, sul finire degli anni 90. 
La risposta data dai cittadini, misurata sia dai voti concreti, sia, in modo più virtuale, dai sondaggi, è estremamente positiva: gli istituti demoscopici danno Mélenchon all’8,5% e Die Linke al 7%, Izquerda Unida ha preso alle elezioni per il rinnovo delle Cortes spagnole il 6,9%, il Bloco de Esquerda ha ottenuto poco più del 5,2%.
Le leggi elettorali in vigore in Francia, Germania, Portogallo e Spagna non aiutano. In un modo o nell’altro la traduzione dei voti in seggi parlamentari favorisce o formazioni a radicamento locale, come è il caso spagnolo, o i grandi partiti, come è il caso del maggioritario a doppio turno francese o il proporzionale con correzione con metodo D’Hondt in Portogallo e Spagna. In tutti questi paesi chi vota sa bene che i deputati eletti saranno in proporzione molti meno dei voti ottenuti, grazie alle distorsioni delle leggi maggioritarie o a tendenza maggioritaria.
In Spagna, il cambiamento in senso proporzionale puro della legge elettorale, è addirittura una delle principali istanze del movimento degli Indignati che per mesi hanno occupato Puerta del Sol. Ci sono poi, certo, le difficoltà  ad abbandonare i vecchi, e mai sopiti, rancori che per anni hanno polverizzato la sinistra. Insomma tanti i problemi ancora da risolvere, ma resta un fatto: l’egemonia a sinistra del partito socialista in Europa è oggi meno forte. Forse dalle braci di quello che è stato giustamente definito il blairismo, fenomeno nel quale possiamo inscrivere a pieno titolo anche José Luis Rodrigo Zapatero, potrà  rinascere una sinistra veramente attenta alle necessità  delle persone fisiche e meno per le persone giuridiche, tra cui le banche. Una sinistra meno permeabile alle istanze del neo-liberismo, che sappia dialogare con il «centro» sinistra, ma da una posizione di forza, cioè senza dimenticare il suo compito principale: rappresentare gli strati più deboli della società , sacrificati oramai da troppo tempo dalle politiche del blocco centrale – progressisti e conservatori, popolari e socialisti – che da sempre domina nell’emiciclo del parlamento europeo.
Da un punto di vista teorico sarebbe facile dire che il momento è troppo grave perché non si mettano da parte i vecchi e, purtroppo, ancora attuali conflitti (si pensi solo ai modelli di organizzazione: centralisti o territorial-federali?). Così come è evidente che una sinistra che non sappia articolarsi a livello internazionale, soprattutto europeo, che è il campo dove quasi tutte le decisioni politiche vengono prese, è destinata all’inefficacia e quindi alla irrilevanza politica. Gli esempi di Grecia e Portogallo sono lì a dirci che anche in presenza di movimenti di proteste forti e articolati, di partiti forti e strutturati, se non si riesce a influire su Bruxelles nulla si può ottenere a Lisbona o Atene. Però, purtroppo, non sempre ciò che è evidente è anche facile da conquistare e non solo per l’insipienza dei dirigenti politici, ci sono questioni oggettive difficili da superare. Non sempre è facile modulare atteggiamenti tanto differenti, le convergenze parallele sono facili da raggiungere tra diversi, dove le differenze e le identità  sono nette, meno facile è laddove l’elettorato di riferimento è lo stesso. 
Eppure, nonostante tutto, quello che in questi mesi sta succedendo nella variopinta galassia della sinistra in Europa potrebbe risvegliare qualche speranza. La reazione dei cittadini ci fa intendere che lo spazio lasciato vuoto lì alla sinistra del centro sinistra è vuoto non per mancanza di domanda, gli elettori, ma per la mancanza di una offerta concreta capace di «intercettare» quella domanda, voti, che non incontrando un progetto credibile, si traducono in astensione, spostando inevitabilmente gli equilibri politici verso destra.


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