Categorie e Professioni è il Momento delle Proposte

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 È importante, dunque, che i settori che si ritengono penalizzati dalle liberalizzazioni del governo Monti, dai commercianti ai professionisti, dai farmacisti ai taxisti, abbiano adeguata voce in capitolo e che la usino per far conoscere la propria condizione e i propri programmi. La società  aperta vive di protagonismo e non di veti, di confronto anche ruvido e non di anatemi. Entra in crisi quando a prevalere sono i blocchi stradali, le serrate o altre scomposte manifestazioni del potere di veto. 
Il governo prima di decidere si è rivolto all’Antitrust chiedendo di individuare un pacchetto di deregolamentazioni prioritarie capaci in qualche modo di influenzare la crescita (se non sul breve almeno a medio termine). L’organismo presieduto da Giovanni Pitruzzella ha ottemperato al suo compito e ha reso pubblico un dossier di 90 pagine consultabile sul sito www.agcm.it. Sulla stampa sono già  uscite alcune valutazioni e altre sicuramente seguiranno: il governo farebbe bene a tenerne conto. Va infatti sgombrato il terreno dal dubbio che si agisca solo nei confronti di alcuni settori e se ne risparmino altri, magari dotati di maggiore capacità  di «cattura» del regolatore. Che si prendano di mira le farmacie e i piccoli negozi e si lascino impregiudicate le prerogative dei santuari dell’energia e della finanza. Per quanto poi riguarda l’Antitrust nessuno pensa che sia l’oracolo di Delfi e personalmente in passato mi è capitato di criticare l’authority per la scarsa attenzione posta al tema del ritardo nei pagamenti della pubblica amministrazione alle piccole imprese.
Dunque evitiamo gli anatemi e discutiamo nel merito. Cominciando ad individuare quello che rappresenta il minimo comune denominatore dell’andamento dei singoli settori da liberalizzare: la debolezza del terziario italiano. Come più volte ha messo in rilievo il Censis, i servizi made in Italy sono poco competitivi, operano su mercati prevalentemente locali, esportano poco e rischiano di essere «sfogliati» dalla crisi come un carciofo. Il terziario italiano va quindi irrobustito e due paiono le fonti a cui attingere. La prima è un manifatturiero che ha bisogno di innovazione, alle nostre Pmi serve una iniezione di cultura gestionale, commerciale e finanziaria. Dove e a chi rivolgersi se non al monte competenze rappresentato dal mondo delle professioni? Le formule possono essere le più disparate ma i professionisti hanno bisogno di allargare il loro mercato e i Piccoli hanno la necessità  impellente di fare un salto di qualità  per aggregarsi, salire di gamma, internazionalizzarsi. Almeno sulla carta si tratta quindi di esigenze complementari. 
La seconda fonte di novità  per il terziario può venire dal dimagrimento della pubblica amministrazione trasferendo alcune funzioni alle professioni. È un’idea cara al sociologo Gian Paolo Prandstraller e che si colloca nel grande filone della sussidiarietà . Può essere l’uovo di Colombo per conciliare indipendenza e responsabilizzazione delle professioni e al tempo stesso per colmare il deficit di efficienza della pubblica amministrazione italiana. In definitiva o si allarga la visuale e si trovano le vie per allargare il mercato terziario oppure la coperta resterà  comunque corta e di conseguenza liberalizzatori e conservatori avranno perso entrambi.
Di esempi e proposte ovviamente se ne possono avanzare cento a seconda dei settori (commercio, farmacie, trasporto urbano), probabilmente nessuna da sola sarà  risolutiva ma quello che conta in questa fase è affermare il metodo del confronto e della proposta. Che ci sia bisogno di cambiar passo penso che nessuno possa negarlo, in che direzione e con quali soluzioni si tratta di deciderlo assieme. E il Corriere non si sottrarrà  certo alla sua tradizione di ospitare tutte le voci.


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