Caso Vattani, pressing sulla Farnesina

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ROMA – I tempi della giustizia amministrativa sono troppo lunghi rispetto all’urgenza politica del caso-Vattani. E soprattutto, come dice un diplomatico, «il carattere “tecnico” del ministro degli Esteri fa credere che una soluzione burocratico-amministrativa possa essere costruita per insabbiare il caso del console italiano ad Osaka». 
Il caso è esploso a fine d’anno, quando su Internet ha iniziato a girare il video del console Mario Vattani, 45 anni, figlio dell’ex segretario generale della Farnesina Umberto, che canta una canzone fascista a un festival di “Casa Pound” a Roma. Ieri il ministro Giulio Terzi, fino a poche settimane fa ambasciatore a Washington, ha deciso di non rispondere a una richiesta di commento fattagli da Repubblica. Un suo portavoce ha rimandato al comunicato del 12 gennaio, «in quel comunicato firmato dal segretario generale del ministero Massolo c’è già  tutto, i modi in cui è stata avviata la procedura disciplinare e la forte determinazione del ministro Terzi ad esaminare il caso».
«Noi crediamo che non possa esserci nessuna sottovalutazione politica di questa storia», dice Maria Assunta Accili, segretaria del Sindmae, il più importante sindacato dei diplomatici. «I diplomatici italiani hanno giurato sulla Costituzione della Repubblica italiana, e questa è la Repubblica che serviamo: i segnali di Terzi sono importanti». Il Sindmae non è un sindacato di “sinistra”, è l’organizzazione al cui interno anzi sono sempre stati rappresentati soprattutto funzionari di orientamento politico moderato. Ma la Accili ripete che «la gravità  di un comportamento che risultasse riconducibile all’apologia di fascismo in luogo pubblico da parte di un alto funzionario dello Stato è tale da non poter essere minimizzata né tralasciata».
Molti diplomatici credono che nella gestione del caso Vattani da parte del ministero possa giocare un ruolo anche il timore della capacità  di manovra del padre Umberto. «Ma più rileggiamo i dettagli di quel concerto e delle connessioni con i gruppi neo-fascisti di Mario Vattani e più capiamo che non sarà  possibile far finta di nulla», dice un ambasciatore. In effetti i testi delle canzoni e degli interventi di Vattani hanno un contenuto eversivo da brividi. Innanzitutto l’apologia della Repubblica di Salò, in antitesi alla «Repubblica degli epuratori» (la Repubblica italiana, ndr). Ma poi l’esaltazione della violenza, dello scontro fisico con gli avversari politici: «Siamo tornati con Matteo e con Sergio/vicino ai cessi c’era il bastardo che mi aveva aggredito. L’abbiamo messo per terra/ cercava di scappare/ gli ho dato tanti di quei calci ed era tanta la rabbia/ che mi sono quasi storto una caviglia». Questo è il rock del console Vattani.


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