Caro Energia il Grande Inganno dei Sussidi

Loading

Basterà  la politica della concorrenza a ridurre i prezzi dell’energia elettrica e del gas, cruciali per il rilancio dell’economia, o ci vuole dell’altro? La risposta è: certo, ben venga più concorrenza, ma senza una forte politica industriale non andremo da nessuna parte. E a dettarla non saranno né l’Antitrust né l’Autorità  per l’energia. Dettarla toccherà  al governo, azionista di Eni, Enel e Terna e autorevole suggeritore delle maggiori ex municipalizzate, stabilire chi fa che cosa. 
Il settore elettrico è già  stato liberalizzato. Dall’ex monopolista Enel viene oggi solo il 28% della produzione nazionale, tre concorrenti (le ex municipalizzate A2A e Iren, Edison e l’Eni) stanno sopra il 10%, il resto è frazionato tra soggetti comunque forti, spesso legati a operatori esteri. La Borsa elettrica è decente. La rete degli elettrodotti in alta e altissima tensione è stata affidata a Terna, una società  indipendente, controllata dalla Cassa depositi e prestiti. E Terna ha quintuplicato gli investimenti, grazie alla libertà  dall’Enel e alla remunerazione in tariffa, generosa, ma non superiore alla media europea del 3%. Eppure, l’energia elettrica resta più cara della media europea tranne che per le famiglie a bassi consumi e le imprese energivore, cui vanno 1,3 miliardi di sussidi pagati dagli altri consumatori. Per le altre famiglie la bolletta è più alta del 12%, al lordo delle imposte, per le imprese del 26%. Il fatto è che l’Italia dilapida sussidi e usa le fonti più costose. Ha chiuso il nucleare prima di ammortizzare le centrali atomiche, anticipando di decenni gli oneri miliardari di smantellamento. Nel 1992 ha varato il Cip 6 che, per le fonti assimilate (il gas trattato come una fonte rinnovabile), finirà  per costare 20 miliardi di euro di incentivi in bolletta, lungo i 15-20 anni di esercizio. Nel 2007, l’Autorità , presidente Alessandro Ortis, riuscì a imporre un taglio di 600 milioni l’anno interpretando in modo rigoroso la componente tariffaria del costo evitato di combustibile. Ma è durata due anni. Poi, il consiglio di Stato ha accolto i ricorsi dei grandi gruppi, che avevano fatto incetta delle risorse pubbliche. È dunque in arrivo la stangata di ritorno.
Nel 2012 stanno andando a regime gli aiuti alle rinnovabili, 160-170 miliardi nel trentennio 2005-2034, con una concentrazione in questo decennio. Un salasso in bolletta senza nemmeno costruire una forte industria manifatturiera nazionale di settore come, invece, si è fatto prima in Germania e poi in Cina. L’ex ministro dell’Industria, Alberto Clò, calcola che nei 12 mesi compresi tra il settembre 2010 e l’agosto 2011 le importazioni di apparati per il fotovoltaico siano ammontate a 11 miliardi, mangiandosi un quinto del saldo manifatturiero. Se si rapporta questo deficit all’energia utile prodotta, dice ancora Clò, l’equilibrio economico si avrebbe con il petrolio a 670 dollari il barile, che salirebbero oltre i mille aggiungendo i sussidi di cui sopra. Nel 2011 la media del barile è stata di 111 dollari. Che può fare la concorrenza davanti agli errori di politica industriale? Può il governo limitarsi a dire pacta sunt servanda? Magari deve, ma perché per taxi e pensioni non lo sono?
D’altra parte, l’altra causa dell’alto prezzo dell’energia è il gas, che sale per ragioni in apparenza misteriose. Oggi sul mercato spot all’ingrosso al valico del Tarvisio costa 32 euro al MWh (come ora si misura anche il gas) contro i 23-24 al confine austro-slovacco di Baumgarten. Il tubo è lo stesso, il gas russo idem. La differenza di prezzo dà  margini all’Eni, dominus delle importazioni all’ingrosso, e copre qualche perdita sui contratti take or pay. L’Eni ha ceduto la sua quota di questa infrastruttura estera alla Cassa depositi e prestiti: la Ue l’aveva costretto a disfarsene. Ma ha conservato i diritti di passaggio. E così i tubi sono solo parzialmente saturati. Secondo la Ref-E di Pia Saraceno, il Tag, il gasdotto che viene dalla Russia, è sfruttato al 68% nel 2011, il tubo algerino al 60%, quello libico al 20%, il tubo dall’Olanda al 50%. Colpa anche delle rivolte in Tunisia, del conflitto in Libia e delle frane sulle Alpi, ma anche l’anno prima l’infrastruttura era andata a scartamento ridotto. E il rigassificatore di Panigaglia funziona al 40%.
Se le infrastrutture e i diritti di passaggio fossero gestiti da una Snam Rete Gas indipendente, anziché controllata dall’Eni, sarebbero forse utilizzati più intensamente. D’altro canto, oggi la rete è sufficiente e addirittura abbondante perché l’economia è ferma e i consumi di gas sono regrediti, ma con la ripresa e i consumi a 100 miliardi di metri cubi si rischia di nuovo la strozzatura. La separazione delle reti dal servizio non è un dogma di fede. Dipende dalla tecnologia e dai conti. Nel gas è utile o no? Paolo Scaroni, capo dell’Eni, si dice possibilista da un paio d’anni. Ma preferisce la soluzione dell’unbundling, l’affitto controllato della rete consentito dalla Ue. Il governo Monti e l’Antitrust di Pitruzzella sembravano voler fare di più. E così erano addirittura cominciati gli esercizi per individuare soluzioni. Dalle parti di Terna si era addirittura ipotizzata la possibilità  di acquistare dall’Eni il 29,9% di Snam Rete Gas, così da evitare l’Opa. L’idea di una società  unica delle reti energetiche presenta sinergie limitate sul piano industriale, più interessanti su quello finanziario. Sulla carta Terna verserebbe 3-4 miliardi all’Eni che, con l’occasione, potrebbe ricavarne altri 2,5 cedendo ad terzi anche il 22% residuo e potrebbe infine deconsolidare 11 miliardi di debito. Un beneficio consistente, utilizzabile sia per remunerare i soci (tra cui il Tesoro) sia per aumentare gli investimenti nel settore minerario, il core business del cane a sei zampe. Terna potrebbe finanziarsi senza chiedere nulla ai soci ma cedendo a fondi infrastrutturali parti della sua rete, una volta che l’Autorità  ne abbia fissato il rendimento, e tuttavia conservandone la gestione. Poi potrebbe sostenere gli investimenti di Snam ricollocandone le attività  commerciali come Italgas. Ma questo è altri progetti sono al momento destinati a restare mere esercitazioni. Il governo Monti ha fatto marcia indietro e l’Antitrust, ieri, si è allineata. Per il sottosegretario Antonio Catricalà , il caso Snam non è una priorità ; esistono altre soluzioni per le imprese energivore. Ma, scrive Diego Gavagnin sul Quotidiano Energia, «di altri rimedi ne esiste uno solo: far pagare di più agli altri».
Massimo Mucchetti


Related Articles

Frane e allagamenti, mezza Italia nel caos

Loading

La tempesta flagella il Centro-Nord. Clini all’Ue: deroga al patto di stabilità    

Il mistero dei terremoti dell’Ohio: “Colpa delle trivellazioni”

Loading

Da tempo le scosse si susseguono nello Stato più pianeggiante degli Usa. Sotto accusa la tecnica del “fracking”

La marcia dei 60 mila No Tav lancia la sfida: fermate il cantiere

Loading

Fuori dal tunnel. Grande corteo No Tav a Torino e formidabile risposta all’operazione mediatica della manifestazione delle “madamin”

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment