Bucarest, nella piazza dei ribelli dell’Est “La nostra primavera contro gli intoccabili”
BUCAREST – È piazza dell’Università il “chilometro zero” della protesta romena. O come urla Walter Semionov, leader dei rivoluzionari dell’89, «la nostra piazza Tahrir». Il vento della primavera araba sembra lambire anche i Balcani. Certo è che a una settimana dall’inizio di questa inattesa levata di scudi contro il potere, sono ancora migliaia le persone che quotidianamente sfidano il freddo e le cariche della polizia. Le dimissioni da sottosegretario del medico palestinese, Raed Arafat, paladino di una sanità non solo per ricchi, che avevano dato il là alle prime manifestazioni, sono rientrate. Così come il tentativo di Basescu, il presidente, di privatizzare una parte del sistema pubblico messo in piedi dallo stesso Arafat. Eppure la gente continua a radunarsi in questo luogo simbolo, davanti al Teatro nazionale e al gigantesco, bronzeo monumento, il “Carro dei buffoni”, che ricorda Ion Luca Cargiale, il creatore del teatro romeno moderno. E Cargiale la cui satira mise alla berlina i politici del suo tempo, roba di oltre un secolo fa, diventa il perfetto referente ideologico di questo movimento trasversale e spontaneo, in cui si mescolano rabbia e ironia e di cui fanno parte studenti e pensionati, operai e intellettuali, vecchi e giovani, uomini e donne, latori di un unico, drammatico messaggio: non ce la facciamo più.
La Romania è più che in ginocchio. Il piano di austerità concordato con Unione europea e Fondo monetario internazionale l’ha messa faccia a terra. Tagli di due cifre a stipendi e pensioni. Risultato: quel poco di classe media che c’era è come sparita. Tutti nel gruppone di quelli che stentano, tranne una sparuta, ricchissima minoranza di intoccabili. Quelli che dopo Ceausescu sono riusciti a mettere le mani sulle ricchezze del paese e che ancora oggi per i loro business miliardari pagano la stessa aliquota di un modesto commerciante. Ma né ingiustizie, né divari sociali, né scandali di regime, che in Romania sono pane quotidiano, erano mai riusciti a mobilitare le masse. Fatalismo e disabitudine a condividere forse, certo è che per ritrovare da queste parti gente veramente arrabbiata in piazza bisogna risalire ai primi anni Novanta, alla rivolta delle “facce nere”, dei minatori della valle dello Jiuc che che per giorni tennero in scacco la capitale. Ma il fuoco evidentemente covava sotto la cenere.
La miccia della ribellione l’ha indirettamente accesa un medico che di cognome fa Arafat. Palestinese come il suo omonimo Yasser e risoluto a rispondere all’arroganza del presidente che voleva privatizzare una parte del suo sistema integrato, Smurd (un acronimo che sta Servizio di medicina d’urgenza, rianimazione e estrattiva) con parole forti: «Privatizzare significa entrare nella logica del profitto e il compito di un Stato è solo quello di salvare vite, non importa se di ricchi o di poveri. Ecco perché mi faccio da parte». 48 anni, nato a Damasco, famiglia borghese, Raed arriva in Romania a metà degli anni Ottanta per studiare medicina. La passione gli è venuta da adolescente quando da volontario ha operato a Nablus in Cisgiordania. Mette il padre che lo voleva ingegnere come lui, di fronte a un aut aut: o medico o niente. La spunta lui e finisce a Targumures in Transilvania. Si laurea e decide di rimanere in Romania dopo la rivoluzione dell’89. A Targumures sperimenta il suo sistema integrato nelle emergenze sanitarie. Diventa un personaggio da copertina e le sue idee varcano il confine. Viene cooptato nel governo Boc con l’incarico di sottosegretario alla Sanità , il numero tre del ministero. Una settimana fa entra in rotta di collisione con Basescu che vuole cancellare il suo buon lavoro. Il resto è storia nota, a migliaia scendono in piazza, la polizia usa le maniere forti. Gli ultra del tifo di Steaua e Dinamo, veri professionisti della guerriglia urbana, si gettano nella mischia non si sa se per l’insopprimibile voglia di menare le mani o perché qualcuno li ha reclutati per delegittimare la protesta. Vengono assaltate banche, incendiati, auto e negozi, divelte panchine, lanciati sassi contro i gendarmi, ma solo nei primi giorni, poi la società civile riesce a isolare i malintenzionati che però sembrano essere ritornati sulla scena alla loro maniera.
Basescu e Boc (il premier, il solo ad avere ammesso di aver fatto qualche errore) che molte vignette raffigurano come vampiri, non hanno molti margini di manovra. La crisi non l’hanno inventata loro. Ma se non fanno in fretta a inventarsi una soluzione, la situazione sembra destinata al peggio.
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