Bossi e Maroni, lo scontro finale

by Sergio Segio | 14 Gennaio 2012 8:59

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MILANO – Il diktat arriva alle otto sella sera, suona come il preannuncio dell’espulsione e porta la firma di Umberto Bossi. «Devo segnalare la volontà  del segretario federale di sospendere tutti gli incontri pubblici con la presenza di Maroni». A comunicarlo, in coda alla riunione del consiglio «nazionale», è il segretario della Lega lombarda Giancarlo Giorgetti. Al suo fianco c’è Roberto Calderoli. Nella sala di via Bellerio scende il gelo, e tutti capiscono che per “Bobo” è finita. Diversi segretari provinciali – sono loro i destinatari del diktat – che cancella l’ex provano a contestare la decisione. Ma non c’è niente da fare. Passano un paio d’ore e si fa vivo Maroni. Su Facebook: «Mi hanno appena chiamato per comunicarmi che la segreteria nazionale ha deciso di impedirmi di tenere gli incontri pubblici già  programmati in Lombardia; non so perché, nessuno me l’ha spiegato, sono stupefatto, mi viene da vomitare. Qualcuno vuole cacciarmi dalla Lega, ma io non mollo». E aggiunge: «Sono pronto ad andare alla conta».
Un antipasto della fatwa era stato servito in giornata. Sul web. Il pasticciaccio brutto del voto su Cosentino lo ha «amareggiato e un po’ deluso», scriveva Maroni sul suo frequentatissimo profilo facebook. «Però – aggiungeva – non smetto di credere e di lavorare per la Lega che ho contribuito a costruire in oltre 25 anni di attività  politica. La Lega per la quale lavoro – aggiunge – è la Lega degli onesti, senza intrallazzi né conti all’estero, la Lega che mi ha conquistato per i suoi ideali di onestà  e trasparenza». Al mattino, sempre su Facebook, ci aveva però pensato il suo avversario numero uno, il capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni, a gettare altra benzina sul fuoco. Con una lettera aperta indirizzata proprio a Maroni: «Cosentino non lo abbiamo salvato noi, quasi tutto il gruppo parlamentare ha seguito le indicazioni di Bossi, che ha detto di votare sì all’arresto, salva la libertà  di coscienza; purtroppo sulla stampa sembra che siamo stati noi a votare no». E qui arriva la coltellata: «Con le tue dichiarazioni avvalori queste ipotesi, solo smettendola di alimentare le falsità  che i nostri nemici mettono in giro riusciremo a conquistare la nostra libertà ». Intelligenza col nemico, questa l’accusa.
Ma l’ex titolare del Viminale non ha degnato neppure di una risposta il suo antagonista, più volte da lui indicato come «pretoriano di Bossi». Altro post su Facebook, indirizzato a una fan che lo invita alla replica: «Lasciamo perdere queste cose e non alimentiamo polemiche inutili, questa pagina è a disposizione di chi vuol parlare di cose serie…». Tra cui Maroni annovera senz’altro la richiesta di celebrare i congressi della Lega, quelli regionale e quello federale, per dare vita alla «svolta». L’argine è saltato, adesso quella richiesta non è più sussurrata. «Grande dolore – dice il maroniano Attilio Fontana, sindaco di Varese – vedere che sul caso Cosentino non si sia riusciti al avere un atteggiamento unitario, tra Bossi e Maroni non c’è divisione, ma serve un chiarimento su altre cose e la sede giusta per farlo sono in congressi». Li chiede anche Flavio Tosi, primo cittadino di Verona: «Per fortuna non siamo come il Pdl, dove i coordinatori li nomina Berlusconi; quindi bisogna tenere subito i congressi, a maggior ragione in un momento come questo». (r.s.)

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