Attacco kamikaze a Damasco: 26 morti
L’esplosione di un kamikaze sotto il cavalcavia di Midani, in un quartiere residenziale di Damasco, catapulta il Paese in una fase ancora più sanguinosa della rivolta. Le immagini riprese dopo l’attentato, che ha fatto almeno 26 morti e 63 feriti, restituiscono il quadro di un’operazione allestita per colpire con il massimo impatto. La carica detonata sotto la volta di cemento del viadotto ne moltiplica la potenza. La scelta del luogo, fra una stazione della polizia e il viale del passeggio nel giorno di festa alle 11 del mattino, assicura un gran numero di vittime. Ian Black, inviato del Guardian, descrive una scena «degna di una macelleria». Il ministero degli Interni non sa quantificare con esattezza i morti: restano brandelli irriconoscibili di almeno 12.
Tutto il giorno Damasco è un carosello di furgoni della polizia e sirene di ambulanze. Mentre gli attivisti denunciano fino a 35 vittime negli scontri, e Al Jazeera trasmette l’appello del generale Mustafa Al-Sheikh ai soldati di disertare – la prima defezione di rango, se confermata – un’altra carica esplode a Tel, vicino alla capitale. Una terza in un minibus a Hama. Scoppia anche una condotta che alimenta di gasolio due importanti centrali elettriche. È il quarto attentato del genere in poche settimane: interrompe l’erogazione di luce e il riscaldamento in un inverno particolarmente rigido. Convogli di camion trasportano barriere di cemento sul monte Qassiun, che fa da quinta alla città . Domestiche affollano l’aeroporto, rimpatriate dai rispettivi Paesi.
Nel gioco degli specchi che ora è la crisi siriana, opposizione e regime si accusano a vicenda. Il governo dice di riconoscere di nuovo, dopo il doppio attentato del 23 dicembre, «le impronte di Al Qaeda» e assicura «il pugno di ferro». Da Istanbul fa da controcanto l’Esercito libero siriano: «Si tratta di terrorismo di Stato sistematico e pianificato». L’armata ribelle condanna con enfasi l’attentato. Non è un caso: appena due giorni fa il comandante, Riad al-Asaad, aveva promesso «un’enorme escalation delle operazioni» in risposta all’inefficacia della missione di pace della Lega Araba. Poco prima, al contrario, aveva imposto una tregua per agevolare il compito degli stessi osservatori. Un ordine all’apparenza inascoltato da gruppi locali autonomi, che l’indomani hanno ucciso nove soldati.
Il garbuglio approfondisce le fratture all’interno del maggiore fronte d’opposizione, fra il Consiglio nazionale e L’Esercito libero. E non ispira ottimismo agli osservatori internazionali né alla Lega Araba, che domenica si riunisce per esaminare il rapporto iniziale della missione in Siria. Al Cairo era attesa un compagine dell’opposizione più ampia e rafforzata, che emerge invece più rissosa. La Lega deciderà se prolungare la missione, o riferire la crisi siriana al Consiglio di sicurezza, preludio di un’azione internazionale.
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