Amato negli Stati Uniti, criticato in Italia ecco perché Sergio mostra due facce

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DETROIT – L’integrazione tra le due sponde dell’Atlantico procede a grandi passi, nonostante la crisi e nonostante le vistose differenze con cui la filosofia di Sergio Marchionne viene accolta nei due continenti. La presentazione della nuova Dodge Dart, la prima auto americana su pianale Fiat, coincide anche con l’arrivo in Usa del primo «pezzo» di Alfa Romeo. L’accoglienza che circonda in queste ore a Detroit l’ad del Lingotto, acclamato come il salvatore dell’industria dell’auto americana, stride con le manifestazioni di aperta ostilità  che talvolta lo accolgono sul suolo italiano. Un caso di schizofrenia mediatica e industriale con pochi precedenti. Che difficilmente si spiega solo con il braccio di ferro tra Fiat e Fiom (« qui in Usa – scherza l’ad – non c’è nessuno che somigli a Landini») o con il diverso carattere o le differenti abitudini di italiani e americani (che spesso arrivano dalle medesime radici, come dimostra la stessa biografia di Marchionne). 
Potrebbe anzi accadere che sia lo stesso Marchionne a finire per offrire di sé due volti differenti a seconda del contesto: affabile e impegnato a valorizzare le diversità  nei gruppi di lavoro in Nordamerica (ieri addirittura autocritico sulle previsioni di vendita della 500 negli Usa: «Abbiamo fatto una cavolata»), teso e propenso a sottolineare soprattutto i difetti del sistema in cui si trova ad operare in Italia. Insomma un uomo che unisce in America e che divide in Italia. 
Il mistero dei due Marchionne e dei differenti modi con cui viene accolto sulle due sponde del suo impero economico colpisce per primo il diretto interessato. Che più volte si è chiesto negli ultimi mesi: «Perché mai qui in Usa nessuno mi domanda dove investirò i soldi e in Italia sono tutti pronti a chiedermelo ogni volta che mi incontrano?». Certamente una parte di questa schizofrenia dipende dalle profonde differenze tra Europa e Stati Uniti, tra l’Italia e il Michigan. Ma il rischio è che a cominciare a credere a quella divisione sia lo stesso ad del Lingotto. E’ facile quando in un luogo ti acclamano e nell’altro ti criticano, pensare che i buoni siano nel primo e i cattivi nel secondo. Ma tracciare una riga in mezzo all’Atlantico e distinguere tra il bene e il male è un esercizio rischioso. Perché finirebbe per compromettere quel disegno di integrazione che è invece la vera grande scommessa alla base dell’alleanza con Chrysler e della stessa filosofia industriale del manager italo-canadese: in un’azienda globale non c’è posto per buoni e cattivi. «Il fatto – osserva Marchionne – è che la disponibilità  al cambiamento, alla scommessa sul proprio futuro, fa parte del dna dell’America. Quattro anni fa in questo salone c’era la puzza della morte. Oggi l’industria dell’auto americana è rinata». 
L’Europa e l’Italia in particolare, sono luoghi dove c’è meno disponibilità  a scommettere sul futuro: «La prima cosa che ti dicono è quel che non si può fare». Eppure la vera sfida che ha di fronte l’ad del Lingotto è arrivare all’integrazione con Chrysler tra tre anni avendo superato, anche per la sua parte, i pregiudizi. «Non c’è contrapposizione tra Europa e America, nella nostra azienda ognuno fa il suo compito come le tessere di un mosaico», diceva Marchionne tempo fa. Tenere la barra su questa linea nei prossimi anni è la scommessa da vincere.


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