by Editore | 8 Gennaio 2012 9:23
Monti è deciso a procedere con la «fase due» delle riforme, e cioè il capitolo occupazione e crescita: ci sono due vie principali che il premier vuole imboccare, la modifica del mercato del lavoro (con i contestati progetti sull’articolo 18 e gli ammortizzatori) e le liberalizzazioni. Ieri il presidente del Consiglio, parlando a Reggio Emilia in occasione del 215esimo anniversario del tricolore, ha detto che il governo «farà saltare i colli di bottiglia»: ci saranno «equilibrate e pragmatiche ma non timide liberalizzazioni, riconoscendo che ogni settore dà un contributo ma che è più equo se avviene in regime di libera concorrenza». «Non timido» indicherebbe la volontà di procedere, appunto, con decisione, dopo lo stop delle corporazioni imposto il mese scorso, quando il premier avrebbe voluto inserire alcune misure contro le mini-caste già nel dl «Salva Italia».
E però i movimenti della società civile e alcuni partiti (come l’Idv) mettono in guardia: se è vero, come pare, che il nuovo decreto legge a cui starebbe lavorando la «squadra» formata in primis dallo stesso Monti, dal ministro dello Sviluppo Corrado Passera e dal sottosegretario Antonio Catricalà , si dovrebbe ispirare al percorso tracciato qualche giorno fa dall’Antitrust, il pericolo è che nel sistema dei servizi pubblici locali indicato dall’authority come oggetto di una «cura drastica», potrebbe finire anche l’acqua. Che, come ricordiamo, dovrebbe al contrario essere tenuta fuori in forza del risultato del referendum dello scorso giugno.
L’Antitrust chiede nel suo rapporto di vietare l’assegnazione in house di tutti i servizi pubblici locali (cioè l’affidamento a un’azienda a controllo dell’ente medesimo) a meno che non sia esplicitamente comprovato un vantaggio rispetto ai soggetti privati; in via ordinaria, insomma, ogni servizio dovrebbe essere messo a gara e gestito dai privati, o perlomeno da chi riesce a fare l’offerta più conveniente (la stessa società pubblica finirebbe in piena concorrenza con le private, senza maggiori tutele). Qui scatta la lucetta rossa per l’acqua, che se anche non venisse privatizzata come proprietà , può sempre – aggirando comunque il referendum – essere liberalizzata completamente nella gestione privata (tra gli altri ieri il Corriere della sera è tornato all’attacco proprio su questo tema), con un enorme rischio per le tariffe. «Liberalizzazioni sì, contro gli oligopoli e i monopoli, ma l’acqua non si tocca», tuonava ieri Antonio Di Pietro (Idv).
Per il resto, Monti mirerebbe ad aumentare la concorrenza nei benzinai (rendendo i concessionari più autonomi dalle compagnie petrolifere), taxi (aumentando il numero delle licenze), farmacie (permettendo la vendita extra-casta dei medicinali di fascia C e aumentando i numeri di soci possibili per aprire una farmacia), ordini professionali (cancellando le tariffe minime e liberalizzando la formazione, oggi controllata dagli albi), autostrade e aeroporti (legando le tariffe alla reali produttività e diminuendo la lunghezza delle concessioni), infrastrutture ferroviarie e trasporto su gomma, le poste (scorporando il Banco Posta dal servizio universale di distribuzione).
Nel mirino del premier ci sarebbero anche le norme burocratiche che rendono lunga e costosa l’apertura di un’impresa; le banche e le assicurazioni (regole più stringenti sulle polizze e minori commissioni interbancarie); il commercio, con l’apertura liberalizzata (data e orari) dei negozi.
La Confindustria sostiene questo programma (da tempo chiede più liberalizzazioni), e la Cgil ieri ha chiesto «maggiori incentivi per i giovani imprenditori», tornando a sollecitare «una tassa sulle rendite e i grandi patrimoni che possa far sgravare impresa e lavoro». Dal canto loro, tassisti e farmacisti invece si preparano a protestare, con blocchi del traffico e serrate, mentre la Confesercenti mette in guardia: attenzione, gli orari liberalizzati strozzano i piccoli negozi a favore dei centri commerciali, e «sono a rischio 80 mila aziende e 240 mila posti di lavoro – avverte il presidente Marco Venturi – Dal 2006 a oggi il settore ha perso 300 mila posti con oltre 100 mila negozi chiusi».
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