by Editore | 27 Gennaio 2012 6:47
Di Franco Pacini, il grande astronomo scomparso ieri all’età di 72 anni, si può ricordare la lunga carriera scientifica, a partire dai suoi studi degli anni Sessanta, quando le sue previsioni sull’esistenza di stelle rotanti di neutroni furono poi confermate dalla scoperta delle pulsar, e che sono proseguiti portando a oltre cento pubblicazioni scientifiche di livello internazionale. Carriera che la comunità mondiale degli scienziati ha deciso di onorare dedicandogli un asteroide.
Si può ricordare l’impegno costante e instancabile di promozione e organizzazione della ricerca scientifica: in primo luogo all’Osservatorio astronomico di Arcetri, di cui è stato direttore dal 1978 al 2001 e che era un po’ la sua creatura, e senz’altro il suo orgoglio – e in altre istituzioni internazionali come l’European Southern Observatory, e l’Unione astronomica internazione (Uai), di cui è stato presidente dal 2001 al 2003.
Si possono ricordare le battaglie civili e culturali, spesso combattute insieme alla sua amica Margherita Hack. Per la diffusione della cultura scientifica, che l’ha sempre visto in prima linea, per cui ha lavorato e lottato ritenendola una questione di democrazia ancor prima che di cultura. Ma anche battaglie più strettamente politiche, come quella contro la riforma Moratti, per cui scese in piazza a difesa dell’autonomia della ricerca insieme ai giovani ricercatori che restituivano simbolicamente provette e microscopi.
Eppure la cosa di Franco Pacini che più resta impressa a chi lo ha conosciuto è la passione. La sensazione che in tutto ciò che faceva mettesse tutto se stesso, senza risparmio e a volte persino senza cautele. Era un uomo di entusiasmi profondi e profonda energia e determinazione, toscanissimo nelle ironie – e nelle invettive: anche in queste non sempre badava al risparmio. Uno scienziato che a fare scienza non solo ci credeva ma ci si divertiva anche parecchio, e forse il segreto della sua grande abilità di comunicatore era proprio questo. La capacità di trasmettere quella passione e quel divertimento non tanto con le parole ma col suo essere semplicemente se stesso: Franco Pacini, astronomo e instancabile difensore della scienza.
Grande, alto, armato di pipa appena era possibile, aveva la struttura fisica del burbero e invece era capace di tratti gentilissimi. Con i bambini, a cui negli ultimi anni aveva dedicato grande attenzione impegnandosi in ogni modo per avvicinarli alla scienza fin da piccoli, era, semplicemente, fantastico.
Lo ricordiamo, durante un festival della scienza, mentre stava dentro un tendone torreggiando su un gruppetto di bimbi piccolissimi che lo seguivano rapiti mentre parlava della natura, del cielo e delle stelle con una semplicità che non diventava mai né stucchevole né condiscendente.
Sapeva raccontare, Franco Pacini, era un narratore eccellente. Ma non raccontava favole o fantasie. Sapeva raccontare la gioia della scoperta scientifica, il piacere dello studio della natura, la felicità di usare l’intelligenza per cercare risposte a domande grandi quanto l’universo.
E non importa se quelle risposte le troverà qualcun altro. Lo spiegò proprio lui, in una intervista di diversi anni fa, alla giornalista poco esperta e anche un po’ spaventata dalla complessità delle cose di cui parlava, che gli chiedeva dove trovasse il coraggio un astronomo come lui per lavorare a progetti i cui risultati si sarebbero concretizzati nell’arco di decenni, di cui insomma era impossibile raccogliere personalmente i frutti.
Rispose che non serviva alcun coraggio. Che il fatto che il lavoro e gli sforzi di chi indaga oggi sulla natura del cosmo siano la base delle scoperte di domani è il corso normale della ricerca scientifica. Che far parte di quel lungo filo di intelligenze umane che si dipana nei secoli, costruendo un po’ alla volta la comprensione del mondo, è un privilegio. «E io, Franco Pacini, sono un uomo privilegiato».
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