Addio a Etta James il soul perde un mito

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NEW YORK – “At Last”, alla fine, come nel titolo del più grande successo, se n’è andata anche lei. L’ultima grande del soul? Etta James ha travalicato i generi prima che il rock’n’roll consacrasse il matrimonio tra musica bianca e nera. Questione di pelle: figlia di madre-bambina, e nera, Jamesetta Hawkins, questo il vero nome, classe 1938, aveva sangue bianco per via di padre, naturalmente mai conosciuto. E’ morta a 73 anni travolta da una vita di eccessi: pagando per quella droga in cui si era rifugiata troppo spesso. Aveva cominciato giovanissima: scoperta appena 14enne da quel Johnny Otis scomparso anche lui l’altro giorno e anche lui multiracial culturale, figlio di immigrati greci, bianco che aveva deciso di vivere come un nero. A metà  degli anni 60 Etta si era ridotta a fare da apripista per quei ragazzini bianchi e terribili sbarcati da Londra: i Rolling Stones. Una vita contaminata: l’ultimo successo è una cover di “Purple Rain” di quell’altro musicista senza confini che è Prince. Solo negli ultimi anni il riconoscimento: l’omaggio nel film “Cadillac Records”, impersonata da Beyoncé con cui pure litigò, e una sfilza di sei premi Grammy con il primo che arriva nel 1994 per la rilettura della grande Billie Holiday. “Mistery Lady” si chiamava l’album: ma il vero mistero è quello della sua gloria negata per troppo tempo. Nata povera, i figli e il marito hanno cominciato a litigare sull’eredità  da quando si era ammalata di Alzheimer. “I’d Rather Go Blind” è l’altro hit, col ritornello che fa accapponare qualsiasi pelle. Profetica: meglio perdere la vista, come nel titolo, che assistere alle ultime bassezze della vita.


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