WTO: conclusa la Ministeriale a Ginevra, nuovo stallo del Doha Round

by Editore | 19 Dicembre 2011 9:32

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Nessuna indicazione per far uscire dallo stallo il Doha Round, il ciclo negoziale lanciato dieci anni finalizzato ad una progressiva liberalizzazione dei mercati globali con la retorica dello sviluppo. “Dalla tre giorni non è uscita nessuna risposta concreta contro la crisi, la perdita dell’occupazione, il numero degli affamati che aumenta” – hanno denunciato i movimenti di Occupy Wto, i sindacati dell’Ituc e l’Africa Trade Network che nel presidio accampato all’esterno della sede del vertice hanno protestato nella giornata finale con un rally cittadino contro i contenuti di sviluppo spariti dal tavolo negoziale.

“Un approccio, quello della Wto, ideologico e senza una vera e propria valutazione d’impatto della propria agenda” – commenta Monica Di Sisto, vicepresidente di Fair presente a Ginevra come organizzazione accreditata e parte della rete internazionale OWINFS (Our World Is Not For Sale). “La liberalizzazione dei mercati e la loro progressiva deregolamentazione stanno alla base della crescita delle disuguaglianze e della crisi economica che stiamo vivendo”- aggiunge Leopoldo Tartaglia, responsabile dipartimento politiche globali della CGIL. “Evitare ogni analisi di impatto di queste politiche mostra un atteggiamento che sconfina nell’ideologico, perché non ne considera le conseguenze sulla vita delle persone e sugli ecosistemi, negando proprio quello sviluppo sostenibile che si afferma di voler perseguire”.

Proprio per questo, in una tenda posta all’esterno della sede del Vertice – l’International Conference Centre Geneva – la rete della società  civile internazionale ha presentato all’inizio della Conferenza ministeriale il documento di “Occupy Wto” e le iniziative di sessioni di formazione e aggiornamento sui negoziati, oltre ad azioni dirette per tutte le giornate della ministeriale che sono culminate sabato scorso nella manifestazione cittadina.

Ma c’è di più – avverte la rete OWINFS: i cosiddetti ‘negoziati del 21esimo secolo’, come li hanno definiti pomposamente Stati Uniti e Europa, “potrebbero piombare come sciacalli sulle nuove emergenze globali e trasformare in business la crisi finanziaria, la sicurezza alimentare e i cambiamenti climatici, cominciando a trattare temi dai nuovi prodotti finanziari speculativi alle forniture pubbliche, dal trasferimento di tecnologie verdi agli aiuti alimentari d’emergenza”.

Non è un caso, quindi, nell’agenda del WTO siano entrati dei nuovi temi (New issues) come la sovranità  alimentare e la lotta al cambiamento climatico che hanno portato ad una dura contrapposizione tra il rapporteur dell’Onu, Olivier De Schutter ed il direttore del Wto, Pascal Lamy, sulla legittimità  o meno della Wto di toccare tali temi. “La globalizzazione crea grandi vincitori e grandi perdenti. Ma quando sono in gioco i sistemi alimentari, perdere significa sprofondare nella povertà  e nella fame. Una visione della sicurezza alimentare che allarga il divario tra regioni con sovrabbondanza di cibo e regioni in deficit alimentare regioni, tra esportatori e importatori e tra vincitori e vinti, semplicemente non può essere accolta” – ha detto chiaramente De Schutter, special Rapporteur dell’Onu per il diritto al cibo.

“I New Issues sono un aspetto molto delicato perché rischiano di mettere sotto un’ottica economicista e liberista questioni che attengono ai diritti umani e del pianeta e che proprio per questo devono essere esclusi dai negoziati” – ha sottolineato Monica Di Sisto. “Escludere l’agricoltura dalla Wto, come propone il Rapporteur dell’Onu, vuol dire rimetterla nella giusta ottica: non solo merce, ma settore strategico per la lotta alla fame e al cambiamento climatico, soprattutto se locale e sostenibile come ha chiarito l’Onu”.

La dichiarazione di Olivier De Schutter è stata lapidaria. Pur condividendo con Lamy che “sicurezza alimentare è un obiettivo politico fondamentale per i governi”, il Rapporteur dell’Onu ha subito specificato che “il dibattito deve partire da una premessa corretta”, cioè riconoscere i pericoli per i paesi poveri a contare troppo sul commercio”. “L’impatto delle regole del commercio non può più essere visto a livello di Stati da soli – ha sottolineato De Schutter. Deve essere attento a ciò che determina realmente la sicurezza alimentare: chi produce per chi, a quale prezzo, a quali condizioni e con quali ripercussioni economiche, sociali e ambientali. Il diritto al cibo non è una merce, e dobbiamo smettere di considerarlo in questo modo”.

Per CGIL e Fair c’è il rischio “che la Wto voglia mettere le mani su aspetti come la sovranità  alimentare, la lotta al cambiamento climatico ed i diritti ad un lavoro dignitoso che sono argomenti che dovrebbero essere affrontati in sedi più appropriate: la Fao per la questione della sovranità  alimentare; l’UNFCCC sul cambiamento climatico e l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, per l’occupazione ed il lavoro dignitoso”.

La ministeriale che è stata caratterizzata dall’entrata nel Wto di alcuni paesi – la Russia, Montenegro e Samoa – ma anche da un nuovo approccio che, per superare il riconosciuto fallimento dell’Agenda di Doha, vede ‘coalizioni dei volenterosi’ limitate a pochi Paesi trovare accordi su specifici settori, com’è accaduto sul tema degli appalti pubblici tra Usa, Unione europea ed altri 22 Paesi. “Un plurilateralismo – conclude Monica Di Sisto – che dimostra l’inadeguatezza della Wto di tenere assieme molti temi su un’agenda così ampia. E che conferma l’incapacità  dei Governi del G20 a costruire una reale governance globale aldilà  dei roboanti impegni assunti nel recente vertice di Cannes”.

La prossima ministeriale è prevista tra due anni e Pascal Lamy, il cui secondo mandato scade a fine agosto, ha annunciato che questa è stata la sua ultima conferenza ministeriale ordinaria.

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