Verso il contratto unico stop al divario tra protetti e non più tutele ma più flessibilità 

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La batosta delle polemiche sulla modifica dell’articolo diciotto ha lasciato il segno. Ora al ministero del welfare preferiscono che siano i sindacati a fare la prima mossa. Nella seconda settimana di gennaio, quando Camusso, Bonanni e Angeletti si sederanno di fronte a Elsa Fornero, saranno loro e non il ministro a dover parlare per primi. Nessuno può considerare l’attuale situazione del mercato del lavoro soddisfacente: quali sono dunque le proposte del sindacato per voltare pagina? Al ministero si sottolineano le parole utilizzate ieri da Monti: è necessario un sistema di regole non interpretabili. Vale per le assunzioni dei giovani ma vale anche per l’intera riforma. 

A tutti alcune certezze di base
La filosofia è quella di dare a tutti alcune certezze di base, un sistema di garanzie che si estenda all’intero mondo del lavoro. Superare l’attuale schema che divide le aziende in due gruppi: quelle sotto i 15 dipendenti, dove non si applica lo statuto dei lavoratori e dove spesso regna l’arbitrio. Dove piccolo è bello solo per gli imprenditori mentre i dipendenti sono costretti a orari massacranti, paghe da fame e rapporti contrattuali totalmente precari. Sull’altro versante, nelle aziende sopra i 15 dipendenti, la tendenza è quella a ridurre il numero di occupati a tempo indeterminato a vantaggio di rapporti di lavoro meno stabili, anche qui scambiando la creazione di nuovi posti di lavoro con la garanzia che quel lavoro duri nel tempo. È stato questo, in fondo, il nodo dello scontro tra i sindacati alla Fiat, con la Cgil a difendere i diritti acquisiti e gli altri sindacati a ribattere: «senza lavoro non ci sono diritti per nessuno». Probabilmente Elsa Fornero non può permettersi di dividere i sindacati sulla sua proposta di riforma del mercato del lavoro, e questo spiega la sua prudenza. Certamente se si arriverà  alla spaccatura sindacale sarà  solo dopo che il governo avrà  fatto pubblicamente tutte le mosse per evitarla. Per queste ragioni il punto di partenza saranno le norme per abbattere il lavoro precario tra i giovani. Questione che mette d’accordo tutte le sigle sindacali e buona parte dei partiti. 

Il contratto di apprendistato 
La proposta di riferimento potrebbe essere quella avanzata da Tito Boeri sul contratto unico di apprendistato introducendo il principio per cui tutti i contratti dopo un certo periodo diventano a tempo indeterminato. Quel che si starebbe studiando al ministero è un modo per rendere lo schema meno rigido: «non è la stessa cosa – si osservava ieri – l’apprendistato dell’artigiano e quello di un ingegnere». L’importante è che in ambedue i casi ci siano regole di base identiche. Non si tratta solo di avere norme chiare per tutti. Ma anche di evitare le pieghe di quelle «eccessive frammentazioni che nuocciono ai giovani», come ha detto ieri Monti. Quella giungla di norme nate in epoche diverse e con scopi diversi che sono diventate un invito a nozze per le imprese che vogliano utilizzare la manodopera senza alcun vincolo.

Ammortizzatori sociali e articolo 18
Naturalmente per questa strada, quella di avere regole uguali per tutti, si arriverà  ad abolire la distinzione tra aziende sotto i 15 dipendenti e le altre. Ma questo è un tasto che oggi al ministero preferiscono non toccare. Perché l’estensione delle tutele del tempo indeterminato a tutti si porta dietro automaticamente la revisione dell’articolo 18 sui licenziamenti: i precari di oggi avranno più certezze perché chi oggi ha certezze diventerà  un po’ più precario. Nessuno in queste settimane ha la forza politica di esprimersi in questo modo ma è stato lo stesso premier ieri ad avvertire: «E’ importante superare la precarietà  ma non si può superare il fatto che nel mondo di oggi e soprattutto di domani un lavoro stabile e a lungo termine, facendo lo stesso mestiere e nella stessa azienda, sarà  sempre più raro». Così anche gli attuali ammortizzatori sociali, la cassa integrazione e la mobilità , saranno rivisti «perché le tutele ci siano ma in una prospettiva di maggiore flessibilità  economica». La parola chiave è ovviamente “flessibilità “. Perché l’obbligo di reintegro per il lavoratore licenziato senza giusta causa è considerato una rigidità  del sistema. Senza abolire l’articolo 18 si potrebbe modificare il concetto di giusta causa inserendo tra i motivi di giusta causa anche le ragioni di difficoltà  economica dell’impresa. Rimarrebbe così invariato l’obbligo di reintegro in caso di licenziamento discriminatorio riconosciuto dal tribunale. 

No a tensioni sociali
Una medicina amara che naturalmente il governo intenderà  somministrare «senza creare tensioni sociali», dice Monti. Evitando cioè il più possibile di creare una spaccatura tra i sindacati. Una medicina che potrebbe essere addolcita dall’introduzione del salario di disoccupazione. Oggi però i soldi per finanziare quella misura non ci sono. Così, in attesa di conoscere eventuali proposte sindacali, al ministero si preferisce dividere la riforma del mercato del lavoro in due fasi: la prima sarà  quella che ridurrà  le forme di precariato più gravi, la seconda quella che affronterà  la spinosa questione della diffusione delle tutele a tutta la platea dei lavoratori italiani.

I rapporti con i sindacati
La questione è spinosa. «Vogliamo confrontarci ma dobbiamo fare in fretta», ha avvertito ieri Monti. «Non vogliano trattare con la spada di Damocle della fretta», rispondevano ieri in Cgil. Mentre la Cisl replicava: «No a pacchetti precostituiti». Fornero si deve guardare da due fronti. Il più difficile è quello della Cgil: è bastata la voce di una cena riservata (smentita da ambedue gli interessati) tra il ministro e il leader della Fiom Maurizio Landini per suscitare grande irritazione in corso d’Italia e, secondo alcuni, provocare la dura reazione di Susanna Camusso alle dichiarazioni del ministro sull’articolo 18. Non meno complesso il rapporto della Cisl: Raffaele Bonanni è tornato improvvisamente barricadiero dopo aver mantenuto un atteggiamento di grande comprensione nei confronti delle scelte del governo Berlusconi. Orfano del rapporto con il predecessore di Fornero, Maurizio Sacconi, Bonanni potrebbe mantenere la sua linea di opposizione al governo. Il fatto è che i partiti di riferimento di Camusso e Bonanni, il Pd e il Terzo Polo, non capirebbero la svolta radicale che nasce da questioni interne alle organizzazioni sindacali. E questa potrebbe essere la carta principale in mano al ministro al momento dell’avvio della trattativa, tra quindici giorni.


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