Usa-Iran, venti di guerra sulla via del petrolio

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E’ la vena giugulare del commercio globale di greggio: anche in tempi di recessione e di minori consumi, strozzarla precipiterebbe il mondo in una nuova crisi petrolifera. E, probabilmente, in una guerra, dato che la Marina americana staziona nel Golfo Persico, proprio per proteggere quella vena giugulare. «Il libero flusso di beni e servizi attraverso lo stretto di Hormuz è vitale per la prosperità  regionale e globale. Chiunque minacci di interrompere la libertà  di navigazione è fuori dalla comunità  delle nazioni. Qualsiasi interruzione non sarà  tollerata», ha precisato un portavoce della Quinta Flotta.
Ieri, comunque, l’Iran ha smorzato i toni rispetto alla minaccia pronunciata 24 ore prima dal vicepresidente Reza Rahimi: un blocco allo stretto di Hormuz come ritorsione ad un embargo sulle esportazioni di greggio iraniano, che l’Unione europea dovrebbe decidere a gennaio. Habibollah Sayyari, che comanda la marina iraniana e, di fatto, dovrebbe guidare l’operazione di blocco ha precisato che, al momento, Teheran non intende dare corpo alla minaccia. Forse le parole di Sayyari non sarebbero state sufficienti a calmare i mercati, ma, se i prezzi del petrolio si sono riassestati verso il basso (sotto i 100 dollari a barile a New York, a 107 dollari a Londra) è soprattutto perché la minaccia di Teheran non è stata presa sul serio. «Retorica» l’ha definita il governo di Londra. Propaganda, sostengono alcuni analisti, ad uso e consumo degli scontri interni alla leadership iraniana. E, comunque, sostengono altri osservatori, gli iraniani non riuscirebbero veramente a chiudere lo stretto. La prima affermazione può essere vera. La seconda è discutibile.
Attraverso lo stretto che chiude il Golfo Persico, fra il sultanato di Oman e l’Iran, transitano ogni giorno 15,5 milioni di barili di greggio. È il 17 per cento del consumo mondiale, ma un terzo di tutto il greggio che gira via mare. Se si considera, però, solo il petrolio che viene esportato sul mercato mondiale (circa 36 milioni di barili al giorno), la percentuale di Hormuz sale sopra il 40 per cento. Al di qua dello stretto c’è, infatti, il cuore dell’Opec: il Kuwait, gli Emirati, l’Iraq meridionale. Soprattutto, c’è il grosso del petrolio saudita: il greggio dei giacimenti giganti di Ghawar, Abqaiq, Shaybah e di tutto l’offshore saudita passa attraverso lo stretto di Hormuz. Per tre quarti, oggi, questo greggio va verso l’Asia, soprattutto Cina e Giappone, ma, in un mercato globale come quello del petrolio, l’impatto di un blocco sarebbe risentito in tutto il mondo e il prezzo del greggio schizzerebbe verso l’alto.
Possono gli iraniani fermare questo traffico? Nel suo punto più stretto, il braccio di mare è largo circa 30 chilometri, ma i corridoi che percorrono le petroliere sono molto più ridotti: una striscia di circa 3 chilometri in entrata più 3 chilometri in uscita, separate da uno spartitraffico largo altrettanto. A percorrere i due corridoi sono, ogni giorno, in media 13 superpetroliere giganti in uscita e altrettante, vuote, in entrata. Bloccarle, ha detto Sayyari, «sarebbe facile come bere un bicchier d’acqua». Tecnicamente, gli iraniani potrebbero riuscirci con una combinazione di mine subacquee e di attacchi diretti alle superpetroliere, lanciati dalla costa o dalle isolette che punteggiano lo stretto. 
Fermate le superpetroliere, come potrebbe il mondo arrivare al greggio del Golfo? Le alternative ad Hormuz sono poche e insufficienti. C’è un oleodotto che attraversa, da Est a Ovest, la penisola saudita e arriva sul Mar Rosso con una capacità  di trasporto pari a 4,5 milioni di barili al giorno. Altri 1-2 milioni di barili potrebbero essere trasportati da un oleodotto che gli Emirati hanno appena finito di costruire, proprio per bypassare lo stretto di Hormuz e collegare i giacimenti di Abu Dhabi direttamente con l’Oceano Indiano. Altri due oleodotti, verso il Mediterraneo, dovrebbero essere riattivati. Complessivamente, tuttavia, gli oleodotti, non potrebbero trasportare più di metà  del greggio che oggi esce via mare dal Golfo Persico, attraverso lo stretto.
La realizzabilità  militare di un blocco navale e la disponibilità  di vie alternative per l’esportazione del petrolio sono, comunque, la parte meno importante di quello che potrebbe succedere, se la minaccia iraniana diventasse concreta. La Quinta Flotta americana staziona nel Golfo Persico, proprio per assicurare il libero flusso del greggio. Ieri, il Pentagono ha sottolineato che Hormuz è «una linea di trasporto vitale per la stabilità  di tutta la regione». Ogni tentativo di chiuderla creerebbe «un problema serio». Se la tensione dovesse ulteriormente salire, i dragamine americani inizierebbero a pattugliare i corridoi, e le navi della Quinta Flotta scorterebbero le superpetroliere. Ma, soprattutto, il mondo si troverebbe sull’orlo di una nuova guerra in Medio Oriente.


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