Un’amara medicina

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Può servire a ricreare quel feeling tra il Palazzo e il Paese reale di cui avremo sicuramente bisogno nei giorni e nelle prove difficili che ci attendono. Del resto la settimana che si apre oggi si presenta decisiva per il futuro dell’Europa e il governo di Roma persegue l’obiettivo di presentare l’Italia dal lato delle soluzioni e non da quello dei problemi.
Siccome lo stile è importante ma i contenuti dell’azione di governo di più, è del merito del decreto approvato ieri che bisogna discutere senza timore di sottolinearne alcune evidenti contraddizioni. Il completamento della riforma previdenziale e la riduzione dei costi delle Province, solo per limitarsi a due esempi, sono sicuramente provvedimenti che vanno nella direzione giusta e che rispondono a esigenze complementari. Mettere in sicurezza il nostro sistema pensionistico ma nel contempo dimostrare la volontà  di ridurre i costi della politica, di cominciare a tagliare quell’eccesso di intermediazione che prevede tra il cittadino e lo Stato ben tre livelli di rappresentanza politica (Comuni, Regioni e per l’appunto le Province). Il cuore della manovra però — purtroppo — non sta tanto in questi pur importanti provvedimenti, quanto in un’amara medicina: l’aumento della tassazione che colpisce duramente la casa e riesuma qua e là  un vecchio armamentario di imposte e balzelli. Fortunatamente alla fine il Consiglio dei ministri ha scelto di soprassedere all’idea di dar corso a un aggravio delle aliquote Irpef che avrebbe sbilanciato ancor di più il decreto dal lato dell’imposizione fiscale. Certo è che rimarrà  nel ceto medio italiano la sensazione di essere considerato dai governi di turno — politici o tecnici che siano — come una sorta di bancomat, un portatore sano di liquidità  che può essere drenata con facilità .
Nei tempi ristretti che ha avuto a disposizione il governo dei tecnici non ha potuto produrre riforme incisive e strutturali per ridurre il dualismo del mercato del lavoro e rilanciare davvero la crescita. Alcune prime norme sono state previste, altre sono state annunciate e scadenzate per un prossimo e non lontano «secondo tempo». Se le aspettano le organizzazioni internazionali che avevano messo all’indice il governo Berlusconi proprio per questa carenza di iniziativa e se le aspettano le parti sociali. Imprenditori e sindacati sanno che almeno sul breve l’introduzione di nuove imposte, necessaria come tampone, non potrà  che acuire i segni della recessione e aprire un pericoloso gap temporale tra i sacrifici richiesti agli italiani e la tenuta dell’economia reale.


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