Una frattura intraducibile
«Quando il sentimento di essere in vita ci abbandona, ci resta pur sempre il cielo – per un attimo Clara vide il proprio volto riflesso nel finestrino, perché il treno si era infilato in una galleria». È l’inizio di Stillbach oder die Sehnsucht (Beck 2011), quarto romanzo di Sabine Gruber, scrittrice sudtirolese nata a Merano ma residente a Vienna. Un romanzo ambizioso, che nei paesi tedeschi ha già venduto oltre quindicimila copie e che, muovendosi su più livelli temporali, riesce a tratteggiare il destino personale dei protagonisti in relazione ad alcune vicende salienti della storia novecentesca.
Clara, una delle protagoniste, sta lasciando il Sudtirolo per recarsi a Roma, dove l’aspetta il difficile compito di mettere ordine nelle cose rimaste della sua amica Ines, morta improvvisamente qualche giorno prima. Ines aveva a sua volta lasciato il Sudtirolo alla fine degli anni ’70, per svolgere un lavoro di cameriera in un albergo della capitale, città che poi sarebbe diventata la sua residenza definitiva. Nell’abitazione di Ines, Clara scopre un manoscritto nel quale l’amica parla di se stessa e soprattutto di Emma Manente, la moglie del proprietario dell’albergo dove lei prestava servizio, anch’essa sudtirolese e segnata dal destino di aver lasciato la propria Heimat per trovare lavoro (e una nuova vita) altrove.
Vero e proprio libro nel libro, il romanzo di Ines mette a fuoco, grazie alla storia di Emma, alcuni episodi dell’occupazione tedesca di Roma successiva all’otto settembre 1943, in particolare il famoso attentato di via Rasella e il conseguente eccidio delle Fosse Ardeatine. Ma la memoria di quelle vicende lontane non resta chiusa in se stessa, bensì si prolunga fino a illuminare la tensione irrisolta che attraversa la storia italiana fino agli anni del terrorismo, e diventa poi archeologia del presente lambendo gli ultimi anni che hanno visto un significativo impoverimento di quella coscienza antifascista da cui, seppur in modo più contenuto di quanto era stato annunciato, è nata la storia repubblicana. Abbiamo incontrato l’autrice a Bressanone, in occasione di una presentazione del romanzo.
Per giungere a cristallizzarsi in un’opera che possa dirsi compiuta, la scrittura percorre molte vie. Quali sono state le esperienze che l’hanno portata a scrivere Stillbach oder die Sehnsucht?
Il primo impulso a occuparmi di questo tema l’ho avuto grazie ai racconti di mia nonna. Mi interessava mettere a fuoco la condizione sociale delle donne sudtirolesi nel periodo tra le due guerre e in quello coincidente con il secondo conflitto mondiale. Successivamente sono apparsi alcuni studi che mi hanno aiutato a chiarire il fenomeno delle ragazze trasferitesi, tra gli anni ’20 e gli anni ’60, in alcune città italiane in qualità di domestiche. Anche Emma, una delle protagoniste, lascia nel 1938 Stillbach, allora un paese di poverissime condizioni (si tratta comunque di un luogo immaginario, ndr), per trasferirsi a Roma e poter così sostenere col suo lavoro la famiglia rimasta a casa. Nella città eterna sposerà poi il figlio del proprietario dell’albergo presso il quale aveva cominciato a prestare servizio, una scelta che non le verrà mai perdonata dalla famiglia, soprattutto dal padre. Dovendo tratteggiare la figura di Emma nel contesto romano ho avuto così modo di ricostruire la costellazione politica del tempo, in particolare la relazione tra il fascismo declinante e l’invasione del territorio italiano da parte dell’esercito tedesco nell’autunno del 1943. Una costellazione drammatica, come dimostrano gli episodi dell’attentato di via Rasella e della conseguente strage delle Fosse Ardeatine cui ho dedicato molte pagine del mio libro.
La parola Sehnsucht è uno di quei termini della lingua tedesca che traduciamo con più difficoltà . Mentre «nostalgia» esprime soprattutto il desiderio di riappropriarsi del passato, nella Sehnsucht riecheggia anche una tensione, un anelito verso qualcosa di futuro. È possibile per lei definire questo sentimento in rapporto alla rilevanza che esso assume per la comprensione del suo romanzo?
Sehnsucht esprime uno stato emotivo indefinito. Può essere inteso come desiderio d’amore, ma anche come un tendere a qualcosa di lontano, di irraggiungibile, come la nostalgia per il luogo d’origine che per Emma rimarrà inappagata. Ogni protagonista del libro è contraddistinto da una sua particolare Sehnsucht. Si tratta in ogni caso di una forza che evoca il desiderio di un cambiamento. In questo senso parlare soltanto di «nostalgia» porrebbe l’accento su un’accezione regressiva e conservatrice, senz’altro parziale.
Si dice giustamente che il Sudtirolo sia un luogo esemplare per chi desidera ricostruire la natura di molti conflitti e avvenimenti che hanno caratterizzato il Novecento europeo. Ritiene che disponiamo oggi di una distanza sufficiente per occuparci di questo passato, senza rimanere impigliati nelle contraddizioni che ha prodotto e nei suoi meccanismi ricorsivi?
Rispetto a quelle che l’hanno preceduta, la mia generazione ha l’indubbio vantaggio di poter disporre di eccellenti studi di carattere storico e politico, tutti apparsi negli ultimi dieci-vent’anni. Scrivere un romanzo dà la possibilità di orchestrare un maggior numero di piani temporali e di figure, riuscendo dunque a far emergere le rotture e le contraddizioni di un determinato periodo storico da molteplici punti di vista. Per me era comunque importante lasciare al lettore la possibilità di costruirsi un quadro autonomo degli avvenimenti descritti, senza fornire un’unica chiave interpretativa. Sono convinta che l’elaborazione del passato, pur mediata dal contesto familiare e sociale, avvenga innanzitutto a livello individuale.
Sfruttando i ricordi personali dei protagonisti, i luoghi dove essi vivono e la relazione ai fatti storici che fanno da sfondo alle loro avventure, nel libro prende corpo anche un confronto tra le diverse «strategie del ricordo» che caratterizzano la cultura italiana e quella tedesca. È possibile sintetizzare con una formula gli esiti di questo confronto?
Molti ricordi sono influenzati dalla politica e dalla loro elaborazione mediatica. Direi che in un paese come la Germania, che ha dovuto fare immediatamente i conti con il proprio passato, si è avuto un approccio molto più differenziato rispetto all’Italia. Quest’ultima non ha conosciuto nessun processo di Norimberga e ha finito quindi per relativizzare o persino banalizzare esperienze come il fascismo e il colonialismo. In Sudtirolo i ricordi sono stati per molto tempo strumentalizzati dalla politica. Qui la memoria è stata particolarmente selettiva: ci si è concentrati sull’oppressione fascista e si è a lungo rimosso il collaborazionismo con il regime nazista. Nel romanzo ho comunque cercato di tematizzare anche il diverso peso che assume la differenza di genere. Per esempio, quello che ricorda Paul è orientato in modo prevalente ai fatti, ma egli non è in grado di rammentare il suo legame con Ines.
Il libro, che ha avuto un’eccellente ricezione critica e sta godendo del favore del pubblico, non è ancora disponibile in italiano. Possiamo sperare di leggerlo presto anche tradotto?
Purtroppo non sono ancora riuscita a ottenere un contratto con una casa editrice italiana. Questo, devo dire, un po’ mi sorprende, perché non conosco molti altri libri scritti in lingua tedesca, perlomeno recenti, che si occupino in modo così articolato dell’intreccio tra la storia tedesca e quella italiana.
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