Un venerdì di passione

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È stata un altro venerdì di proteste e di scontri, ieri in Siria, con notizie che parlano di centinaia di migliaia di manifestanti per le strade, di polizia che apre il fuoco e di una decina di morti. 
Sembrano le dimostrazioni più ampie da parecchie settimane, anche se il condizionale è d’obbligo perché è impossibile verificare le informazioni, tutte provenienti da fonti dell’opposizione. Anche la tv di stato ieri ha parlato di dimostrazioni e ha mostrato immagini di folle per le strade, dicendo però che erano manifestazioni a favore del regime. Gli uni e gli altri – gli oppositori e il governo – sostengono che le manifestazioni erano rivolte alla delegazione di osservatori inviata dalla Lega araba, che si trova in Siria già  da parecchi giorni con l’incarico di verificare la messa in pratica dell’iniziativa di pace, che doveva portare a sospemndere la violenza, ritirare le truppe dalle strade e rilasciare i prigionieri politici. 
L’opposizione aveva fatto appello ai siriani a scendere in piazza numerosi per dimostrare agli osservatori l’ampiezza del dissenso popolare. E la presenza degli osservatori ha imbaldanzito l’opposizione, se sono vere le notizie diffuse ieri. Il gruppo «Syrian observer for human rights», che ha sede a Londra e afferma di raccogliere le sue informazioni da fonti all’interno del paese, dice che almeno 250mila persone hanno manifestato ieri a Idlib, città  nord-occidentale del paese, dopo le preghiere del venerdì. Proprio a Idlib la polizia avrebbe aperto il fuoco sui manifestanti, uccidendo almeno 5 persone e lasciando numerosi feriti. La stessa organizzazione londinese riferisce che grandi proteste sono avvenute in almeno un suburbio della capitale damasco, Douma, con decine di migliaia di persone per le strade – circa 70mila, dicono gli oppositori. Qui sarebbero scoppiate prima sassaiole e poi pesanti scontri tra le forze di sicurezza e i disertori dell’esercito. La presenza di disertori tra i militari è citata ormai da settimane, e ormai ricorre la sigla «Esercito siriano libero» – a confermare che l’opposizione comprende forze molto diverse e non necessariamente solo della società  civile organizzata. Ieri l’agenzia Reuter ha intervistato il luogotenente colonnello Riad al Asaad, indicato come il capo di questo Esercito siriano libero: sostiene che circa 10mila uomini sono sotto il suo comando, e dice di aver ordinato loro di sospendere le ostilità  contro l’esercito governativo da quando in Siria è arrivata la delegazione degli osservatori.
La presenza della missione della lega Araba non sembra aver avuto un grande effetto deterrente sulle forze governative, stando sempre alle notizie diffuse dall’opposizione. L’organizzazione con sede a Londra afferma che decine di manifestanti sono rimasti feriti quando le forze di sicurezza gli hanno impedito di avvicinarsi al municipio di Damasco, dove si erano installati gli osservatori della lega araba.
Altre manifestazioni sarebbero avvenute a Deraa, nel sud, dove sarebbero state uccise altre 5 persone dal fuoco della polizia (la fonte è sempre l’organizzazione degli «osservatori» siriani a Londra). La tv araba al Jazeera ha mostrato immagini con una gigantesca folla che scandisce «rivoluzione, rivoluzione Siria, rivoluzione della gloria e della libertà  in siria»: afferma che vengono da Homs, altra città  roccaforte del’opposizione. Il «Comitato locale di coordinamento», rete di attivisti d’opposizione all’interno della Siria, fa un bilancio della giornata ancora più pesante: dice che ci sono stati 32 morti durante le dimostrazioni di ieri, di cui 9 uccisi a hama, 6 a deraa, sei a idlib, e quattro a Tal Kalakh vicino alla frontiera con il Libano.
Nessuna di queste cifre è verificabile, come non è verificabile quanto dice il «comitato locale di coordinamento»: che 130 manifestanti sarebbero stato uccisi da quando sono arrivati gli osservatori della Lega araba, all’inizio della settimana. 
La delegazione araba si è intanto trovata sotto le critiche degli oppositori siriani, e non solo. Amnesty international ha fatto notare che a guidare la delegazione è il generale sudanese Mustafa al-Dabi, accusato di violazioni dei diritti umani nel suo paese (la lega araba ha risposto alle critiche di Amnesty reiterando la sua fiducia al generale sudanese).


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