Un filo spinato tra Egitto e Israele ecco il Muro che ferisce il Sinai

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EILAT – Percorre il deserto come una cicatrice mal rimarginata seguendone l’andatura di dossi e dune, le parti in acciaio riverberano la luce del sole del Sinai che in alcuni momenti si fa accecante. Questa lunga striscia di cemento e metallo è il nuovo Muro che si sta costruendo lungo tutta la frontiera con l’Egitto. Perché questi duecentoquaranta chilometri di deserto – da Gaza sul Mediterraneo fino a Eilat sul Mar Rosso – sono l’incubo strategico per Israele. Una frontiera di sabbia vasta e ampia, quasi impossibile da controllare, percorsa da bande di beduini dediti a ogni tipo di contrabbando, da trafficanti d’armi e di uomini, da terroristi arabi. Il premier Benjamin Netanyahu approvò due anni fa il progetto del Muro nel tentativo di contenere l’immigrazione clandestina di sudanesi ed eritrei che attraverso l’Egitto entrano in Israele, ma la caduta del regime di Hosni Mubarak e la conseguente perdita di controllo del Sinai hanno fatto scattare l’allarme. L’attacco di diversi gruppi di terroristi lo scorso 18 agosto – con otto israeliani uccisi lungo la Highway 12 che corre lungo il confine – è stato poi l’atto decisivo per dare al Muro del Sinai una urgenza «di carattere nazionale e strategico». Per questo la costruzione viaggia a ritmi sostenuti, decine di ruspe e caterpillar sono al lavoro in 50 cantieri che corrono lungo il confine. La parte in cemento del Muro è alta più di sei-sette metri e alla sua sommità  altre barriere d’acciaio e reticolati. Solo quest’anno è stato consumato in questi lavori il 15% di tutto l’acciaio usato in Israele. I primi 100 chilometri saranno pronti in gennaio e l’intera struttura verrà  completata entro il 2012. L’ondata di immigrati clandestini provenienti dall’Africa, soltanto nel 2010 sono passati attraverso queste dune oltre 13.500 immigrati clandestini, è una vera emergenza per Israele perché nonostante la rigida politica di espulsioni il flusso è inarrestabile. Ma le priorità  strategiche cambiano. Questo confine un tempo era considerato il più sicuro, garantito dal trattato di pace di Camp David che regge da più di trent’anni, ma adesso i pericoli maggiori momento vengono da qui. Dopo il crollo del raìs lo scorso febbraio, le bande beduine – già  molto attive prima – hanno guadagnato spazio mentre l’esercito egiziano ha via via perso il controllo della Penisola. Solo il gasdotto egiziano che rifornisce Israele ha subito nove attentati in dieci mesi, diversi i tentativi di infiltrazione di gruppi terroristi. Il maresciallo Mohammed Tantawi che guida ora la giunta militare egiziana ha altri seri problemi interni da affrontare. L’attacco in grande stile di questa estate, poi, ha dimostrato che se questo confine non viene “sigillato”, Israele dovrà  prepararsi ad affrontare nuovi attacchi contro Eilat – la località  balneare più frequentata in Israele – perché il Sinai è la base per infiltrare terroristi palestinesi. Il cuore del problema nel difendere il confine israeliano con l’Egitto è la vastità  della regione desertica, che non può essere coperta con un fitto dispiegamento dell’esercito. Il Muro, con i suoi radar, i suoi sensori farà  questa parte. Ma il Sinai è un lungo fronte caldo. Un deserto estremo, ostile, dove solo i beduini riescono a sopravvivere muovendosi fra piccole oasi su piste millenarie fra la sabbia. Sono loro il nuovo nemico. Quattordici fra clan e tribù beduine si muovono tra queste dune sulle rotte carovaniere che ora percorrono sulle jeep e sui camion. Portano droga, clandestini, terroristi e armi, sono i signori del contrabbando di ogni merce. Il Sinai egiziano è terra di nessuno. Difficile anche per l’intelligence israeliana cercare di contrastare il fenomeno per capire da dove arriverà  il prossimo colpo. I beduini non si muovono più in piccoli gruppi ma in bande ben organizzate, alcune hanno ricevuto aiuto e sostegno da Gaza – con cui hanno intensi rapporti per il contrabbando con i tunnel sotto il confine della Striscia – altre hanno legami diretti con gruppi della Jihad globale. L’alto livello dell’attacco dello scorso agosto ha rivelato capacità  operative di questi gruppi. Il Muro nel tratto dove c’è stata la battaglia in agosto, è già  stato completato ma mancano ancora 160 chilometri da portare a termine, “l’opera” però avanza rapidamente, quasi 800 metri al giorno. Intanto palloni aerostatici armati di telecamere e sensori sono stati sparsi lungo tutto il confine, a loro per il momento il compito di segnalare arrivi pericolosi dall’altra parte e lanciare l’allarme ai comandi operativi israeliani lungo questa frontiera. La Barriera non include Eilat, la città  israeliana sul Mar Rosso incuneata fra il confine egiziano e quello giordano, meta di turisti e vacanzieri ma anche teatro di attentati e attacchi terroristici negli anni passati. Un’altra speciale “cortina d’acciaio e di cemento” lunga tredici chilometri isolerà  come una fortezza la città , con i suoi grandi alberghi, il piccolo aeroporto, i suoi centri commerciali, le spiagge. Sarà  come andare in vacanza a Fort Apache.


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