Un attacco? «Rafforzerà  il regime»

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La parola «guerra» ricorre sempre più spesso sui media mondiali quando si parla di Iran: spesso a sproposito, o perlomeno con facilità  eccessiva, ma questo non è meno allarmante.
L’ultima escalation retorica è indicativa. L’Iran minaccia di chiudere lo stretto di Hormutz se sarà  attuato un embargo sul suo petrolio; gli Stati uniti ribattono che terranno aperta con la forza quella vitale via di navigazione, in caso di blocco da parte dell’Iran. Probabilmente nessuno dei due intende davvero dar seguito alle proprie minacce, almeno a breve; intanto però queste minacce hanno l’effetto immediato di far aumentare il premio d’assicurazione per le petroliere che traversano lo Stretto, quindi far rincarare il petrolio. Con il prezzo del barile sale la tensione, e il rischio di «incidenti» che potrebbero innescare il confronto armato. Questo perché «la politica della pressione, in assenza di una reale diplomazia, ha una logica tutta sua», diceva giorni faTrita Parsi, studioso e direttore del National Iranian American Council (voce che a Washington sostiene la necessità  di tornare alla diplomazia con Tehran).
In Iran intanto neppure i più decisi oppositori al regime si augurano un attacco contro il proprio paese. L’ultima testimonianza che riceviamo è della Rete delle Associazioni di lavoratori dell’Iran, che riunisce numerosi gruppi sindacali indipendenti nati negli ultimi anni, spesso sull’onda di scioperi, sempre duramente repressi. In occasione di una conferenza sui diritti umani, a Chicago il 9 dicembre scorso, la rete dei sindacati indipendenti iraniani ha inviato un messaggio scritto: spiega che gli attivisti per la democrazia, per i diritti dei lavoratori e delle minoranza religiose conducono una battaglia comune contro la repressione. E dicono che la principale preoccupazione oggi è proprio il rischio di conflitto. 
«Il regime iraniano si dibatte nella sua crisi peggiore. Anzi, una crisi multipla: economica, politica e ideologica. Questo comincia a colpire al cuore del regime, la sua base sociale e politica», dice la lettera. «All’esterno questa può sembrare una buona notizia, la realtà  è che questo rende il regime più pericoloso che mai. Il recente attacco all’ambasciata britannica a Tehran è un’indicazione. Si stanno preparando per la guerra. E dal loro punto di vista, più sarà  sanguinosa meglio sarà : salverà  il regime». 
Sarebbe follia se gli Usa o Israele andassero alla guerra con l’Iran, dicono i sindacalisti. «Cosa otterrebbe un attacco? Non distruggerebbe il programma nucleare del paese, lo farebbe solo arretrare per breve tempo. (…) Consoliderebbe il regime per molti anni a venire, radicalizzando la primavera araba in un incubo di islamismo fondamentalista». Mentre rullano i tamburi di guerra «vogliamo sottolineare il pericolo dell’opzione bellica. Non c’è spazio per difendere diritti umani e democrazia quando le città  sono bombardate e i civili uccisi. Non scordatelo, quando parlate delle violazioni dei diritti umani in Iran».


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