Tassi, misure anti-deficit e prestiti solo 120 ore per salvare l’euro

by Sergio Segio | 5 Dicembre 2011 8:06

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New York – «Dieci giorni per salvare l’euro» aveva detto il commissario europeo Olli Rehn. Ne sono passati cinque. Tra oggi e venerdì, resta una “settimana corta” ma di fuoco, in cui il mondo intero ha gli occhi puntati sull’Europa. La manovra italiana, due vertici (franco-tedesco ed Ecofin), un meeting della Bce che potrebbe tagliare i tassi: è il percorso a ostacoli schiacciato in 120 ore, dove la posta in gioco è altissima. Da Washington a Pechino, da Londra a Brasilia, anche gli attori esterni hanno il fiato sospeso e attendono le mosse dell’eurozona. Barack Obama manda il suo segretario al Tesoro in missione, sapendo che la fragile ripresa americana è appesa anche alla sopravvivenza dell’eurozona. Obama vuole ribadire la sua convinzione agli europei: non si può curare questa crisi solo con l’austerità ; manovre fatte di soli tagli precipiterebbero l’intero continente verso una nuova recessione, che a sua volta farebbe risalire deficit e debiti (pubblici e privati).
Non è bastato il maxi-intervento concertato tra le due rive dell’Atlantico mercoledì scorso, l’operazione “pompa-dollari” che ha visto impegnate la Federal Reserve, la Bce e altre quattro banche centrali inclusa quella del Giappone. Dopo quell’offensiva delle banche centrali non è svanito il senso di pericolo. Uno dei timori che costringe Obama a inviare di nuovo Tim Geithner al capezzale dell’euro, è proprio lo stato di illiquidità  delle banche europee. Secondo quanto risulta al Tesoro Usa, dopo che la Fed ha messo a disposizione credito in dollari a tassi stracciati, ben 350 di quei miliardi sono stati “parcheggiati” dagli istituti di credito europei presso la Bce. È un segnale di paura estrema, che rasenta la paralisi: invece di farsi credito tra loro, o meglio ancora di prestare all’economia reale, le banche affidano i loro fondi alla cassaforte infruttifera della Bce, come se fossero alla vigilia di un tracollo. Un altro segnale di allerta è la missione che la direttrice del Fondo monetario internazionale è andata a compiere in America latina… per chiedere aiuto. È il mondo alla rovescia, gli ex bancarottieri trasformatisi in potenziali salvatori. Christine Lagarde ha sondato i governi del Brasile, del Messico e del Perù per la loro disponibilità  a partecipare a nuovi “prestiti bilaterali”, da attivare se occorresse salvare dal default l’Italia o la Spagna. Sono degli strumenti ancora da inventare, avrebbero il cappello della Bce e del Fmi, consentirebbero di evitare la “multilateralità ” tipica del Fondo: vietata dal fatto che l’Amministrazione Obama in campagna elettorale non può far digerire al contribuente americano un suo finanziamento all’eurozona.
Alla riapertura dei mercati oggi due eventi dominano l’attenzione: la manovra italiana e il vertice franco-tedesco. E sono già  due test difficili da superare. Il termometro della fiducia tra gli investitori globali reagirà  a seconda di quanto appaia solido il consenso verso il governo Monti. D’altra parte i mercati attendono dal dialogo tra Angela Merkel e Nicolas Sarkozy le prove tangibili di un’intesa vera. Il patto dovrebbe includere l’unione fiscale che piace alla Germania, con le sanzioni automatiche ai paesi che sforano sul deficit; e qualche forma di via libera agli eurobond o a interventi più vasti della Bce (quantomeno a salvataggio degli istituti di credito, possibilmente anche sul mercato dei titoli pubblici). Gli osservatori angloamericani o cinesi non sono allenati a cogliere tutte le sfumature dell’eurodiplomazia: dovranno accettare che l’intesa Merkozy resti almeno in parte implicita, sia per non irritare gli altri partner mettendoli di fronte al fatto compiuto, sia per non invadere il campo di autonomia della Bce. Anche per questo è importante la missione di Geithner. Il segretario al Tesoro fungerà  da “interprete” per decifrare la settimana europea a Obama ed anche a Wall Street.
Nel frattempo Christine Lagarde continuerà  a sondare Bric e dintorni per misurare quanti capitali i paesi emergenti sono disposti a investire nei salvataggi dell’eurozona. La Cina, che a sua volta sta correndo ai ripari per il rallentamento della sua crescita, è la chiave di volta: ma Pechino aspetta a esporsi perché vuol capire quanto investirebbe la Germania nei nuovi strumenti “bilaterali” targati Fmi. Se non si fidano i tedeschi, sarà  difficile attirare i cinesi. Giovedì la Bce farà  sapere se taglia i tassi, o vara eventuali nuovi interventi a sostegno del sistema creditizio. E venerdì si chiude l’Ecofin. Nella versione più virtuosa la settimana avrà  inizio con un via libera per le misure di Monti, si chiuderà  all’insegna di una svolta interventista della Bce e con la benedizione Ecofin al patto franco-tedesco: unione fiscale, sanzioni automatiche, in cambio di una solidarietà  verso gli Stati a rischio. Qualsiasi incidente di percorso rispetto a questo tracciato virtuoso, potrebbe gettare i mercati nello sconforto, e non solo loro.

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