Tassa sullo scudo i dubbi su chi pagherà
MILANO — In Parlamento si guarda sempre più ai 182,5 miliardi rientrati con i tre scudi fiscali del 2001, 2003 e 2009-2010 per recuperare risorse al posto di tagli su altri capitoli della manovra, come l’adeguamento all’inflazione delle pensioni oltre i mille euro. Fabio Granata, del Fli, vuole che l’aliquota sia innalzata al 5% dall’attuale 1,5% (considerata «ridicola» da Antonio Di Pietro), Enrico Letta (Pd) propone di portarla al «2,5% o al 3% con l’introduzione di una tassa sui capitali in Svizzera». Anche dal fronte imprenditoriale, con il presidente di Rete imprese Italia, Ivan Malavasi, arriva l’invito ad alzare l’aliquota, e così i sindacati. Anche la commissione Lavoro della Camera, nel parere favorevole al decreto legge sulla manovra, indica la strada di un ritocco.
Il gettito potenziale d’altronde è notevole: la relazione tecnica del governo stima 2,19 miliardi. Se l’aliquota raddoppiasse al 3% il recupero potrebbe arrivare a 4,38 miliardi, e a 7,3 miliardi se portata al 5%. La stima del governo peraltro considera «prudenzialmente una riduzione del gettito potenziale del 20% per tenere conto di soggetti nei cui confronti la disposizione potrebbe non trovare applicazione». Insomma, qualche scudato potrebbe non essere chiamato a pagare l’imposta. Come mai?
I tecnici puntano il dito contro il testo della legge: «Poteva essere scritto meglio ma in tre settimane capisco che non si possa fare una norma perfetta», commenta Fabrizio Vedana, direttore area legale di Unione Fiduciaria. Le perplessità maggiori si concentrato su due aspetti: il requisito della «segretazione» per identificare i conti scudati da tassare, e il tema degli immobili all’estero emersi con lo scudo del 2001. «La lettera della norma sembra escludere quei conti che hanno perso l’iniziale segretazione», aggiunge l’avvocato Alfredo Malguzzi, esperto di diritto tributario: ciò può accadere perché il contribuente ha opposto lo scudo in una verifica fiscale o semplicemente perché ha collegato quei soldi a un altro conto, o perché li ha movimentati in qualche altro modo. Tuttavia il decreto legge in un altro articolo fa riferimento anche alle attività «in tutto o in parte prelevate» o «comunque dismesse», dunque per questa via anche i conti non più «segretati» potrebbero rientrare nell’imposta. Toccherà all’Agenzia delle Entrate fornire l’interpretazione autentica.
L’altro aspetto tecnico riguarda gli immobili regolarizzati nel 2001. Per logica dovrebbero essere tassati, ma nel decreto si fa riferimento solo ad alcune parti della legge sul primo scudo, lasciando fuori l’articolo 16 relativo proprio agli immobili: «Credo sia una dimenticanza, sennò non si capisce l’esclusione», conclude Vedana.
Il diavolo, come sempre, sta nei dettagli. Basterebbe — spiegano gli esperti — togliere le parole «ancora segretate» e cambiare un «art.15» con «art.16» per cancellare i dubbi sull’applicazione dell’imposta straordinaria. Solo questa mossa potrebbe valere, conti alla mano, 700 milioni di euro in più con l’attuale aliquota. Pochi dubbi invece sul fatto che se lo scudante è deceduto debbano essere gli eredi a pagare, anche se per un patrimonio di dieci anni fa che potrebbe anche essere molto ridotto. Ma qualcuno potrebbe cercare di resistere e non pagare? «Figuriamoci! Significherebbe dichiararsi al Fisco come evasore. E davanti ai tribunali sarai sempre macchiato di quel peccato originale», commenta Malguzzi.
C’è poi il tema del recupero dei documenti più datati, quelli di dieci anni fa, che in qualche caso potrebbe essere complicato per l’intermediario. Ma martedì sera il presidente del Consiglio, Mario Monti, si è detto sicuro sul recupero effettivo dell’imposta, da versare in due rate entro il 16 febbraio 2012 e 2013. Per chi non paga la minaccia non è tanto la multa (pari il doppio della tassa), ma la segnalazione all’Agenzia delle Entrate da parte dell’intermediario-sostituto d’imposta che non ha ricevuto il denaro. La peggiore sanzione per chi aveva evaso.
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