Suicidi in cella, tabù per il papa

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La visita, ha spiegato ieri “L’Osservatore romano”, «è stata dettata proprio dalla gravità  della situazione delle carceri dove la disperazione è compagna quotidiana. Quando non diventa assassina». Venerdì il governo ha approvato il decreto proposto dalla ministra della giustizia Paola Severino che consentirà  nel prossimo anno l’uscita anticipata dal carcere, verso la detenzione domiciliare, di più di tremila detenuti. Il che permetterà  di alleggerire un po’ la pressione nelle carceri sovraffollate, anche se con questi ritmi di ingresso saranno ancora 20mila i detenuti in eccesso rispetto alla capienza massima. La visita di Benedetto XVI a Rebibbia, si è detto, ha contribuito a non far vacillare il governo e il carcere è diventato la prima vera emergenza per il governo Monti, oltre la crisi economica. La ministra Severino, le va riconosciuto, ha imposto l’argomento senza preoccuparsi delle resistenze presenti nei due principali partiti che appoggiano l’esecutivo, Pdl e Pd, e della contrarietà  di Lega e Idv, del resto già  fuori dalla maggioranza. Tutto bene, dunque? Non tutto. Ci sono i limiti del decreto legge – riconosciuti dalla guardasigilli – di fronte a una situazione talmente drammatica e urgente da non lasciare alternative, nell’immediato, all’amnistia. Che resta molto improbabile viste le posizioni in parlamento. Ci sono poi tutti i rischi che presenta una delle soluzioni avanzate, è cioè la permanenza degli arrestati nelle camere di sicurezza delle questure, per 48 ore, in attesa del processo per direttissima. Basta ricordare che molti abusi sono accaduti proprio tra quelle mura dove le garanzie previste per la detenzione in carcere non ci sono, neanche sulla carta. La soluzione rischia di risolversi nello spostamento dei detenuti da un luogo a un altro meno sicuro. Se i problemi del carcere sono di questa durezza, spiace che “L’Osservatore” eviti persino di pronunciare la parola «suicidi», confermando quella chiusura che 50 anni fa faceva scrivere a Fabrizio De André la ballata del galeotto suicida sepolto «senza un prete e una messa». Nascondere la realtà  porta a sviste clamorose. «Solo nell’anno che sta per chiudersi i morti nelle carceri italiane sono stati una settantina», scrive l’organo della santa sede. Magari. Quelli sono solo i suicidi (e i suicidi tentati un migliaio). I morti in carcere sono molti di più: 180 nel 2011, anno che può essere il più tragico degli ultimi dieci.


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