Stupri e nozze forzate: L’inferno delle somale

by Editore | 29 Dicembre 2011 9:01

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Rashida Manjoo, l’inviato speciale delle Nazioni Unite incaricata di monitorare la violenza contro le donne, ha lanciato un allarme alla comunità  internazionale: «Lo stupro è diventato una pratica quotidiana in Somalia e nei campi profughi che ospitano somali in Kenya e in Etiopia». La signora Manjoo, che ha tenuto una conferenza stampa a Nairobi il giorno dopo il ritorno da un viaggio di 10 giorni nell’ex colonia italiana, ha parlato di «privatizzazione della violenza» denunciando l’omertà  che regna nei campi profughi e tra la gente dei villaggi, terrorizzata dalla guerra che dura da 20 anni. «Nessuno parla, nessuno denuncia. C’è una cultura del silenzio che favorisce e garantisce l’impunità ».
Gli shabab, i miliziani integralisti islamici legati ad Al Qaeda, sono indiziati come i maggiori responsabili di stupri, pestaggi, omicidi nei confronti delle donne. Ma non solo: «Le donne subiscono angherie anche da parte delle truppe governative e dentro le pareti domestiche. Sono l’elemento più debole della società  somala e tutti ne abusano».
Un’organizzazione che lotta per le difesa delle donne Mother and Child Care, ha raccolto diverse testimonianze e ha permesso ai giornalisti di parlare con le vittime, a patto di rispettare l’anonimato: «A Mogadiscio — spiega — abbiamo tutti paura». I nomi quindi sono di fantasia. Racconta Faduma Ahmed: «Ero in un campo di sfollati quando ho visto un drappello di uomini con le divise dell’esercito. Non credevo fossero pericolosi, ma quando mi hanno incrociato mi hanno trascinato in un campo e stuprato a turno». Faduma è stata «fortunata» perché aiutata dalle altre donne che l’hanno raccolta e portata in ospedale, dove le hanno somministrato farmaci antiretrovirali per prevenire il contagio di Aids. La maggior parte delle donne vengono lasciate in strada o in un campo. Le vittime sono traumatizzate e non raccontano nulla, neppure a chi vuole aiutarle.
«Ormai — spiega Rakiia Ahmed, che gestisce uno dei centri di Mother and Child Care — chi scappa degli stupratori rischia di finire nelle mani di altri stupratori. Cercare aiuto da chi dovrebbe difenderti è rischioso». Faduma Ahmed non ha voluto denunciare i suoi stupratori e li incontra in divisa mentre pattugliano il campo con l’incarico di difendere i suoi ospiti.
Mamma Amina Ali racconta come è riuscita a salvare la figlia di 15 anni dalle grinfie degli shabab. «Quando sono entrati in casa e volevano prenderla e violentarla, lei è stata furba. Gli ha detto che non vedeva l’ora di combattere la jihad, la guerra santa. Li ha convinti ed è andata via con loro pacificamente. Dopo pochi giorni però è arrivato l’ordine: “La guerra santa la fai sposando uno di noi”. Intanto io — continua Amina Ali — ho saputo in quale campo l’avevano portata e sono riuscita a farla rapire per portarla a casa. Mia figlia non è però più normale. Sviene in continuazione, ha gli occhi sbarrati, ha paura di tutto».

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