Stefano Fassina “L’emergenza è lo sviluppo non la finanza pubblica”

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I mercati continuano a mordere perché vogliono una correzione della politica economica suicida che la Germania impone a tutti. Ed è evidente che ora vogliono politiche per la crescita». Il responsabile economico del Pd, Stefano Fassina, a suo tempo alunno della Bocconi e oggi molto critico con le ricette della Bce, ammette di non aver avuto finora un contatto diretto con il suo ex professore Mario Monti. Al quale, se dovesse incontrarlo, suggerirebbe di «provare a correggere la linea di cieca austerità  che la Germania porta avanti. Purtroppo le chiavi sono a Bruxelles e fa un po’ tenerezza vedere questa fila di segretari di partito che vanno a Palazzo Chigi come se lì ci fossero le leve per far ripartire l’economia».
Quindi le fa tenerezza vedere sfilare pure Bersani?
«No, lui è stato il primo a dire che la mission fondamentale di Monti è in Europa. Marcando così una differenza rispetto a quelli che insistono sull’articolo 18 o su altre misure improbabili in questa fase. Noi abbiamo collezionato una sequela di manovre che valgono per il 2012 cinque punti di prodotto lordo, con un impatto che non può che portare a una lunga recessione».
Dunque anche quest’ultima manovra ha effetti recessivi?
«Di sicuro accentua una recessione già  in atto, ma risponde ad una necessità  politica: ricostruire una credibilità  che serve all’Italia per poter negoziare una correzione di rotta nell’area euro».
E ora quali sono i prossimi passi che dovrebbe fare Monti?
«Più del consiglio dei ministri di oggi, è importante la scadenza di domani, quando il governo italiano presenterà  gli emendamenti alla bozza di trattato intergovernativo del 9 dicembre scorso. Per come verrà  confezionato, potrà  portare alla correzione di rotta o no. Inserendo i vincoli di bilancio in una strategia per la crescita, oggi assolutamente assente. Ed è questa la vera fase due».
E’ giusto portare avanti in parallelo i cantieri della concorrenza e del mercato del lavoro?
«Certo, ovviamente vanno fatte le riforme delle liberalizzazioni e degli ammortizzatori sociali, mentre l’articolo 18 non ha nulla a che vedere con la crescita e con la precarietà . E’ essenziale procedere in parallelo perché abbiamo accumulato un ritardo che dobbiamo recuperare. Ma senza l’inversione di rotta a Bruxelles, anche questi processi interni hanno il fiato corto».
Si aspettava che dopo il varo di questa manovra lo spread continuasse a volare?
«Assolutamente sì, perché il problema non è la finanza pubblica ma la crescita. Che si può far ripartire anche sostenendo gli investimenti nella logistica e nelle infrastrutture: porti, ferrovie, strade. Facendo partecipare i capitali privati a progetti di questo tipo, con la remunerazione legata alle tariffe, per attivare i cantieri. Con fondi di investimento, in cui il pubblico detenga la quota di maggioranza lasciando gli utili agli azionisti. E bisognerebbe portare fino al 5% la tassa sui capitali scudati per trovare altri 3-4 miliardi, da destinare a investimenti nei comuni e a saldare i debiti della pubblica amministrazione con le piccole imprese».
Dopo lo strappo deciso da Di Pietro, è ancora valida per il futuro la foto dell’alleanza di Vasto?
«Vendola capisce la funzione che sta svolgendo il Pd in questa fase e non parla mai di inciucio con Berlusconi come fa Di Pietro. Che è attento solo a vedere se può rosicchiare qualcosa dal nostro elettorato, con un atteggiamento che renderà  molto molto complicato poi costruire una coalizione credibile».


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