Stabilito un tetto, fatta la «deroga» Le sviste dei professori pasticcioni

by Editore | 17 Dicembre 2011 9:26

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Si presume che i professori sappiano quel che fanno, specie quando scrivono. E quindi se combinano disastri dovrebbero averlo fatto apposta. Oppure non è vero niente, e mettere sulla poltrona di ministro un rettore o una Gelmini non fa differenza.
La norma del decreto che doveva porre un limite preciso agli stipendi dei manager pubblici è risultata un aborto giuridico: entro 90 giorni, diceva, il presidente del consiglio varerà  un decreto riguardante «chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell’ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con amministrazioni statali». Caos momentaneo, perché «chiunque» – in una legge – vuol dire proprio quella cosa lì, e riguarda quindi milioni di dipendenti. E nemmeno Monti può decidere di regolare una materia senza tener conto che ci sono dei contratti collettivi di lavoro. Il «tetto», poi, dovrebbe essere fissato al livello del primo presidente di Cassazione, quindi a 311.000 euro lordi annui. Non pochi, certamente. Ma per chi oggi ne guadagna molti di più (come Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni: 4,4 milioni) si tratterebbe di una bella botta. E quindi ecco arrivare, insieme alla norma, la «deroga per alcune figure apicali», per quanto «motivate». Un tetto è previsto anche per i rimborsi spese, che in molti casi è un vero e proprio «stipendio supplementare».
C’è poi la folta platea dei« doppi incarichi», dirigenti distaccati presso altri ministeri o amministrazioni. in alcuni casi potrebbero essere gli stessi ministri «professori». La nuova norma pone infatti dei limiti, ma non troppo punitivi: l’indennità  non potrà  essere superiore al 25% del trattamento economico percepito nell’amministrazione di provenienza.
Diverso il caso, esploso ieri, della Regione Lazio. Che deciso – «virtuosamente» – di congelare alla data del 1 dicembre gli stipendi dei consiglieri regionali, peraltro fissati all’80% dell’indennità  di un parlamentare. Il problema è nato da un’altra norma inserita nello stesso testo e «scoperta» soltanto vero le 2 di notte, con cui sono stati introdotti dei vitalizi per i soli assessori (i membri della giunta di governo, insomma) che cesseranno il mandato al termine di questa legislatura.
Ad aumentare il caos – un regola, quando ci sono problemi o scandali, è gridare al «siamo tutti uguali» – le voci su uno stratosferico aumento di stipendio (oltre il 15%) per i dipendenti di palazzo Chigi. Un rapido giro di verifiche permetteva di stabilire – con l’autorevole conferma dell’Istat, di lì a poco – che non c’è stato alcune rinnovo contrattuale e quindi nessun aumento. Se non quello legato a un maggiore orario di lavoro (38 ore invece di 36). Ma il grosso dell’«aumento» è costituito da un’«indennità  accessoria» (in quanto tale non contabilizzata nello stipendio) che è stata inglobata nello stipendio base. In pratica non è cambiato nulla. E parliamo di un lavoro con turnazioni molto ballerine (se il governo fa notte, fanno notte tutti), dove un impiegato di 5° livello prende 1.300 euro al mese. Non proprio uno stipendio da «casta». Ma lo scandalismo è una bestia che non prevede l’analisi di merito. Solo lo «strillo».

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