Spari sulla folla, sangue a piazza Tahrir

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GERUSALEMME – Fiamme, spari, morti e feriti, arresti. Piazza Tahrir al Cairo è stata di nuovo campo di battaglia fra l’opposizione che chiede l’uscita immediata dei militari dalla vita politica e la polizia della Giunta, che come ai tempi dell’ex raìs Mubarak, non risparmia in violenze e brutalità  contro la folla. Dieci morti e oltre 500 feriti l’esito di due giorni di scontri nella Piazza simbolo della rivoluzione egiziana che solo ieri sera è stata completamente sgombrata dalla polizia. Subito dopo i soldati hanno iniziato a costruire un muro che impedirà  l’accesso alla piazza. E in serata un gruppo di manifestanti ha aggredito Alaa Al Aswani, noto in Italia per i suoi romanzi “Palazzo Yacoubian” e “Chicago”. Lo scrittore stava per rilasciare un’intervista a una tv francese quando alcune persone, tra cui Al Aswani avrebbe riconosciuto un salafita, si sono scagliati contro di lui. 
Il Paese è scosso da fortissime tensioni pronte a esplodere ogni momento, Gamal El-Ganzouri il premier imposto dai militari per gestire la lunga transizione elettorale denuncia «una contro-rivoluzione in atto», e le elezioni in corso stanno dando ai partiti islamici una vittoria certamente annunciata ma non su queste proporzioni. La Giunta guidata dal maresciallo Tantawi ha affermato più volte che i militari rispetteranno le scelte “democratiche” del voto ma vederli nei prossimi mesi consegnare il potere a un governo marcatamente islamico è tutto da vedere. Intanto mano dura contro le proteste, il numero degli arrestati in questi mesi ha raggiunto quota 15 mila persone. 
Anche durante la battaglia di ieri mattina la polizia ha dato prima di tutto la caccia ai cameramen e ai fotografi presenti sulla piazza, perché non venissero riprese le immagini dei cecchini dai tetti, dei brutali pestaggi contro la gente ferma al centro della Piazza, la devastazione e l’incendio delle tende sui giardini davanti al Mugamma (Il Palazzo dell’Immigrazione), dove era stato approntato un piccolo pronto soccorso fin dagli scontri dello scorso novembre. Attaccato e distrutto un ospedale da campo allestito dalla moschea Omar Makram, che affaccia su un lato della Piazza. «Siamo stati attaccati», ha denunciato alla tv Al Jazeera il dottor Ahmed Farouk, responsabile del presidio medico – «stiamo trasferendo i manifestanti con le ferite più gravi nei bagni della moschea». È all’ospedale di Zenom, quartiere non lontano dalla zona degli scontri, che sono stati invece portati corpi delle vittime. Ahraf El Rifai, il medico legale dell’obitorio ha annunciato che nella sua struttura sono arrivate le salme di otto manifestanti, tutti uccisi da proiettili in piazza Tahrir. I cecchini – denunciano i manifestanti – erano sul tetto del Parlamento che è l’edificio antistante il palazzo del primo ministro. 
Scioccati per quanto accaduto i Fratelli Musulmani – che non partecipano a queste proteste sulla Tahrir – e hanno invitato la Giunta a scusarsi con la popolazione per la brutalità  della polizia. Un basso tono che non cavalca l’onda delle proteste. Dopo una vita passata nella penombra politica e nello scuro delle carceri dei diversi regimi egiziani che si sono succeduti, la Fratellanza con il suo Partito della Libertà  e della Giustizia diventerà  con queste elezioni il partito di maggioranza relativa a cui spetterà  formare il nuovo governo: nulla deve impedire un evento aspettato per più di ottanta anni. Più drastica la presa di posizione di Ayman Nour, attivista politico che ai tempi di Mubarak ha trascorso diversi anni in carcere: la Giunta deve «lasciare immediatamente il potere». Anche negli ambienti più vicini ai militari le voci di dissenso non mancano, nuove dimissioni all’interno del Consiglio Consultivo, creato proprio dalle Forze armate per coordinarsi con le varie forze politiche, dopo gli abbandoni di ieri i “consiglieri” sono ridotti da 30 a 19


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