Sono un babbeo, non è un privilegio lasciare il lavoro dopo 40 anni
Ho tirato su tre figlie. Mantengo una zia disabile, senza che questo sia fiscalmente riconosciuto. Ho un ruolo di responsabilità dirigenziale dal 1990, ossia sono licenziabile da 21 anni. Credo di meritarmi la pensione. E non mi sento un ladro di futuro per i giovani italiani. Mi sento, anzi, un meritevole, che, dopo aver fatto il suo dovere, ha diritto ai suoi…diritti. Andare in pensione a 70 anni, come piacerebbe al gran capo degli assicuratori e a Confindustria? E magari morire subito dopo, assieme a mia moglie, preferibilmente, così né io né altri godranno della pensione faticosamente costruita? Quando sento parlare di «stretta» sulle pensioni di anzianità o dei «privilegiati» che vanno in pensione dopo «solo 40 anni» mi domando se è ancora valido l’articolo 1 della Costituzione. E mi chiedo come si possa aprire il mercato del lavoro ai giovani se i posti sono occupati dai veterani come me, costosi il quadruplo — come minimo — rispetto a un neoassunto. Infine — e chiudo — un cenno all’ipocrisia. Se 40 anni di lavoro non sono abbastanza per andare in pensione, come fanno a esserlo 41, 42 o 43? Dov’è la differenza? Ve lo dico io: nella facilità con cui si può intervenire su di noi, poveri babbei onesti e indifesi. E nella difficoltà (ma quale?) di colpire evasori fiscali e dipendenti pubblici fannulloni.
Con stima,
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