Si spacca il fronte degli islamisti il nuovo Egitto è ancora nel caos

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IL CAIRO – Gli islamisti sono tanti e di diversa natura. Ci sono i democratici, i moderati, i fanatici. Anche nel deserto c’è una destra, un centro e una sinistra: cosi è nell’ampia galassia musulmana, della quale la rivoluzione egiziana è oggi l’epicentro. Ci vuole un gran fiato per tenerle dietro, a questa rivoluzione, con tutti i suoi protagonisti, le sue correnti, le sue nevrosi al limite della schizofrenia. Le idee si arroventano e raffreddano sfuggendo alla logica della routine. Chi non è allenato, manca di resistenza e pazienza, rischia di perdere la testa.
La rivoluzione per sua natura corre svelta. E ti trae facilmente in inganno, si impenna, inverte la marcia, prende scorciatoie insospettate, frena, accelera, sonnecchia, riesplode, si popola di nuovi demoni o apostoli quando meno te l’aspetti. Demoni e apostoli che si diradano anche se non scompaiono del tutto. Ventiquattro ore fa, quando sono trapelati i primi risultati ufficiosi delle elezioni destinate a durare all’incirca sei mesi, abbiamo visto profilarsi una maggioranza assoluta islamista nel futuro parlamento. Ai Fratelli musulmani veniva aggiudicato più del quaranta per cento dei voti e ai salafiti, integralisti religiosi, più del venti per cento. L’avvenire dell’Egitto post rivoluzionario è apparso dunque tutto islamico. In bilico tra democrazia e fanatismo. La minoranza cristiano copta, otto milioni, dieci per cento della popolazione, ha avuto i brividi. Non pochi hanno fatto le valige, pronti a raggiungere i centomila correligionari già  fuggiti all’estero. I borghesi liberali di Zamalek e Garden City hanno visto le loro speranze laiche svanire. E si sono preparati a sonni agitati. La libertà  e la giustizia sociale, reclamate dai pionieri della rivoluzione di piazza Tahrir, sembravano sul punto di svanire come la nebbia del mattino sul Nilo.
Ma ecco, subito, i Fratelli Musulmani, rappresentati dal partito Libertà  e Giustizia, trasformarsi in pompieri, meglio in psicologi specialisti in terapia di massa. Con zelo esemplare hanno cercato di spegnere la paura. Loro sono moderati, lo sono diventati via via, in carcere, in esilio, negli estenuanti tentativi di sopravvivere sotto regimi ostili, quando alle origini esercitavano anche il terrorismo. L’ambiguità  è diventata una delle loro principali virtù. Ed è appunto con un linguaggio ambiguo, ma in questo momento rassicurante, che un loro dirigente, Essam el-Erian, ha detto che non esistono intese tra i Fratelli musulmani e i salafiti del partito Al Nur. Non c’è alcun accordo, al momento, per formare con loro un governo. Il futuro esecutivo si baserà  su un’alleanza di vari movimenti, inclusi quelli liberali. Grande respiro di sollievo? Non proprio. Ma l’ansia è diminuita. I salafiti, che potrebbero determinare la maggioranza parlamentare, non la faranno da padroni. E dei Fratelli musulmani ci si può fidare. Sono diventati interlocutori seri anche per gli americani, i quali si aspettavano il loro successo elettorale, e hanno avviato un dialogo, se non trattative. Insomma si frequentano. E questo tranquillizza.
I parametri della rivoluzione sono di nuovo cambiati. Prima c’erano i militari, furbi come la Sfinge, sfuggenti e potenti, contro i rivoluzionari coraggiosi e imberbi, eroi di una rivolta cristallina in una società  opaca. Lo scontro principale era tra di loro. Ed era lineare. Poi dalle urne è uscito come previsto il gigante islamista, ma con una componente inquietante, quella dei salafiti, che vorrebbero imporre il velo alle donne, alle quali non stringono mai la mano, e che esigono le regole coraniche nella Costituzione repubblicana. La legge vuole una donna in ogni lista elettorale. Loro ubbidiscono ma la mettono in fondo, ultima nella lista, ed è una donna senza volto. Al posto della faccia c’è un mazzo di fiori. I salafiti fanno paura. A loro modo sono dei mistici. Anche se tra i nonni hanno gli assassini di Sadat, colpevole di avere fatto la pace con Israele.
Per la verità  anche tra i Fratelli musulmani sono cresciuti molti elementi finiti nel terrorismo. Al Qaeda ne conta parecchi. Hamas che governa a Gaza è un partito che si ispira ai loro principi originari. Nonostante la loro cattiva reputazione sia radicata nell’Occidente distratto, approssimativo, i Fratelli hanno fatto tanta strada per conciliare Islam e democrazia. Considerati gli inevitabili vincitori delle elezioni dal primo voto (ne seguiranno circa quindici nei prossimi mesi) essi sono diventati i diretti antagonisti dei militari, dei quali contestano il super potere. La rivoluzione ha dunque cambiato faccia: islamisti faccia a faccia con i militari. E con i rivoluzionari di piazza Tahrir relegati non dico tra le quinte, ma quasi.
Adesso al duello militari-Fratelli musulmani se ne è aggiunto uno nuovo. Meglio ne è affiorato uno vecchio. Si è aggiunto quello tra islamisti, cioè tra Fratelli musulmani e salafiti. Sono rivali e concorrenti. Come lo erano giacobini e girondini. I primi, i salafiti, sono puri e duri. Un tempo si dedicavano soltanto alla religione. Barba e preghiere. Con l’incancellabile callo sulla fronte a forza di sbattere la testa sulla terra nel recitare i versetti del Corano. Anche i Fratelli musulmani hanno barba e callo frontale, ma indossano più giacca e cravatta che gellaba; la loro confraternita usa meno la tunica, conta fior di professionisti che partecipano alla vita moderna; hanno alle spalle un’esistenza cosmopolita, e abitano spesso nei quartieri benestanti. Pur animando centri di assistenza (scuole, ospedali, dispensari) nelle province più diseredate.
Hanno avuto decenni di clandestinità  o di semi clandestinità . Nel penultimo parlamento avevano ottanta deputati sotto varie etichette che non ingannavano nessuno. Hanno potuto presentarsi con solenne ufficialità  agli inizi della rivoluzione di gennaio. Subito hanno fondato il loro partito Libertà  e Giustizia. Il modello che li guida assomiglia molto a quello turco. Lo spirito ottomano è risorto sotto nuove vesti, rinnovato, con Recep Tayyip Erdogan, e il suo partito AKP (Giustizia e Sviluppo), che pratica a Istanbul un Islam umanista, con il quale convivono democrazia e laicismo. A Tripoli, a Tunisi e in particolare al Cairo il “neo ottomanismo” è presente nei dibattiti e nei programmi. Persino i militari egiziani (che gestiscono almeno un terzo dell’economia nazionale: dall’industria alimentare a quella alberghiera e del petrolio) si ispirano alla storia turca. Ma essi si soffermano soprattuto sul “kemalismo”, l’epoca in cui i militari laici seguaci di Ataturk amministravano il paese con un pugno di ferro e uno spirito laico. Favorita dal successo politico ed economico la Turchia di Erdogan ispira invece i movimenti islamisti per il suo tentativo di dare un’impronta democratica e laica all’Islam politico. Per i salafiti è una bestemmia. Ci si può richiamare soltanto al Corano. Ed è Dio che governa attraverso gli uomini. E’ difficile trovare un’intesa con loro. Prendendo le distanze, sia pur con ambiguità , gli islamisti moderati rassicurano gli egiziani laici e la società  internazionale. Non governeranno con loro. Comunque non soltanto con loro.


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