Se scoppia la guerra per brevettare il broccolo

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Incredibile ma vero: a Bruxelles si discute se brevettare i broccoli. Avete presente i bambini arroganti dei cartoni animati? Non soltanto arroganti, pure incapaci, per essere precisi. Non sanno costruirsi un castello di sabbia, ma sanno spaventare gli altri bambini, sicché aspettano che ne sia uno pronto, poi arrivano e dicono «questo è mio» e se non glielo lasciano finisce a botte. 
Ecco, il format è molto simile, solo che al posto dei bambini arroganti ci sono le multinazionali, al posto dei bambini capaci di fare i castelli di sabbia ci sono gli agricoltori e i ricercatori indipendenti e al posto dei castelli c’è il cibo. 
Non il cibo Ogm, non chissà  quali altri futuribili prodotti, ma proprio la frutta e la verdura che compriamo tutti i giorni al mercato, quella “normale”. Questa è la nuova frontiera dell’azione delle multinazionali: brevettare quel che ogni giorno arriva nel nostro piatto. Facciamo un passo indietro: la questione dei brevetti è questione complessa, che inizialmente – ovvero quando i brevetti stessi vennero ideati – doveva riguardare le invenzioni, quindi cose utili, nuove, che potevano essere riprodotte con un processo descrivibile. All’inizio questo riguardava solo le invenzioni industriali e tutto filò liscio. Ma all’inizio degli anni Ottanta un ricercatore americano ottenne il primo brevetto su un batterio, ovvero su un organismo vivente, da lui geneticamente modificato, in grado di degradare le molecole di petrolio grezzo e quindi di bonificare aree inquinate. Da qui derivò la possibilità  per i produttori di Ogm di brevettare le sementi, e dunque il divieto per gli agricoltori di riprodurle secondo i metodi tradizionali, e l’obbligo ad acquistare le nuove sementi ad ogni stagione. Ma adesso siamo davanti a una cosa diversa. Perché le multinazionali non chiedono brevetti su sementi modificate con le tecniche della transgenesi. Diciamo che hanno alzato il tiro… o lo hanno abbassato, difficile dire. 
In questo caso parliamo di broccoli. Il broccolo è una pianta naturalmente ricca di molecole con proprietà  anticancro che si chiamano glucosinolati e allora un’azienda ha studiato il genoma dei broccoli per capire in quali condizioni le concentrazioni di glucosinolati risultano maggiori. Ha così scoperto che i broccoli contengono più glucosinolati quando hanno un determinato assetto genomico e che, selezionando la piante migliori e incrociandole con metodi tradizionali, è possibile ottenere una pianta con l’assetto desiderato. Complicato, vero? Sì, complicatissimo. Infatti hanno brevettato questa scoperta, perché il procedimento lo hanno inventato loro e ne sono orgogliosi. Ma tutto ciò non era sufficiente. 
Perché invece i broccoli, con i loro glucosinolati, non li hanno inventati loro e quindi se un altro ricercatore, o un agricoltore evoluto, decide di misurare i glucosinati che ci sono in un broccolo, con un procedimento chimico, e poi incrociare tra loro – sempre con sistemi tradizionali – solo quelli con i tassi più alti, ottiene per un’altra strada quello che i primi hanno ottenuto studiando i Dna. Ecco che allora i nostri bambini prepotenti hanno pensato bene di chiedere i brevetti di tutti i broccoli che possiedono quel determinato livello di glucosinolati che loro sono riusciti a ottenere in laboratorio. Occhio: non sul procedimento, né sulla molecola, né sui semi. Ma proprio sui broccoli stessi, quelli che ci sono al mercato, perché siccome l’idea di un broccolo con un’alta concentrazione di glucosinati è loro, allora brevettano l’idea, il pensiero che esista questo broccolo. Farebbe ridere se non fosse grottesco. Come se qualcuno trovasse un sistema ad altissima tecnologia per fare nascere solo gatti neri e poi volesse il brevetto non solo su quelli che produce lui con il suo sistema, ma anche su tutti i gatti neri che ci sono in circolazione, e che mai ci saranno. Ecco dove stiamo andando. L’Epo, ovvero l’ufficio europeo dei brevetti (European Patents Office) non ha trovato che la richiesta fosse assurda, e nonostante le proteste che si stanno levando da più parti della società  civile, ha continuato la procedura.
Cosa significa tutto questo per noi comuni mortali? 
Intanto significa che ormai il primo che si sveglia la mattina, a patto di avere una camionata di denaro, può studiare una cosa già  esistente in natura, e poi quando ne ha capito i segreti può dire che è sua. E questo è non solo contro ogni logica e ogni giustizia, ma è addirittura al di là  dei limiti che la legge europea sui brevetti impone quando dice che essi valgono solo per le “invenzioni biotecnologiche”. Secondariamente significa che se tutto – non solo le cose, ma anche le qualità  delle cose – diventa “di qualcuno”, allora tutto costerà  di più. Perché i brevetti costano. E non costerà  di più solo fare ricerca e migliorare le varietà  a nostra disposizione, ma costerà  di più anche fare la spesa, perché prima o poi questi costi ricadranno da qualche parte, e non è difficile immaginare che ricadranno sui banchi dei nostri supermercati. Infine significa che il cibo sarà  il terreno di scontro delle prossime guerre, economiche e non solo. Le società  di capitali hanno capito già  da un pezzo e molto bene quello che la politica stenta a vedere. Se c’è un bene durevole la cui domanda non può cadere, perché i consumatori non possono decidere di farne a meno, è il cibo. Una saggia politica partirebbe da qui per capire che i consumatori sono prima di tutto cittadini e che ogni politica che non si basi sulle esigenze alimentari (e dunque di salute, ambiente, educazione, giustizia…) dei cittadini è una politica miope e dannosa.


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