Salvate il soldato Manning

by Editore | 17 Dicembre 2011 8:55

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Per 7 mesi, fino all’aprile scorso, il soldato Bradley Manning, di 23 anni, è rimasto rinchiuso in una cella di «totale isolamento», all’inizio in un carcere Usa in Kuwait e poi nel carcere militare di massima sicurezza di Quantico, in Virginia. Dove gli concedevano solo un’ora d’aria al giorno, la sua cella era perennemente illuminata a giorno, veniva svegliato più volte durante la notte. L’amministrazione Obama gli sta facendo pagare un «crimine» per essa imperdonabile e che rischia di lasciarlo in prigione per il resto della vita: aver diffuso, attraverso WikiLeaks di Julian Assange (anche lui sta assaggiando sulla sua pelle la vendetta dei «poteri forti») il video «Collateral Murder» in cui si vede e documenta il massacro di 12 civili iracheni a Baghdad, nel giugno 2007, da parte da militari Usa a bordo di un elicottero Apache. Del caso Manning si sono interessati Juan Mendez, il relatore dell’Onu per la tortura, e Jeff Peterson, direttore di Courage to Resist, un gruppo per i diritti civili fondato nel 2005 che assiste gli obiettori di coscienza, i disertori e i «prigionieri politici» quale è considerato Bradley Manning. 
Il manifesto ha parlato con Mendez e Paterson a Washington.
Signor Mendez sul caso Manning cosa ha chiesto all’amministrazione Obama nella sua qualità  di relatore Onu sulla tortura?
Aver tenuto per 7 mesi il soldato Bradely Manning in una cella di totale isolamento configura un trattamento inumano e crudele, una violazione dei diritti umani e una forma di tortura contro un imputato che, in linea giuridica, dovrebbe essere ancora considerato innocente fino a che il processo non ne abbia provato la colpevolezza. Abbiamo chiesto ufficialmente chiarimenti all’amministrazione Usa nei primi giorni dell’anno, ma non abbiamo ancora ricevuto alcuna risposta.
Signor Paterson quale ritiene che siano le reali motivazioni dell’accanimento dell’amministrazione Obama contro il soldato Manning?
Manning, è una personalità  complessa, in carcere legge i libri di Howard Zinn e di Kant, cresciuto senza madre né padre, arruolatosi per poter entrare all’univeristà  una volta concluso il servizio militare, omosessuale confesso, spedito in missione in Iraq dove è divenuto uno strenuo oppositore alla guerra. Ora rischia il carcere a vita per aver preso la decisione che non esito a definire eroica, in Iraq, di mostrare all’opinione pubblica americana e mondiale i crimini commessi in nostro nome e con i nostri soldi, in Iraq e Afghanistan. Quel video mostra uno dei tanti episodi analoghi che sono avvenuti e avvengono nelle nostre guerre d’occupazione. La diffusione di quel video attraverso WikiLeaks è l’equivalente dei Pentagon Papers con cui Daniel Ellsberg diffuse i segreti della guerra del Vietnam. Nessuna sorpresa quindi per la reazione furibonda del Pentagono e dell’amministrazione.
I piloti dell’Apache sono stati ripresi o processati?
No. Il loro comportamento fa parte delle regole d’ingaggio.
Signor Paterson vi risulta che con Obama le direttive politiche per la guerra in Afghanistan siano cambiate rispetto a Bush?
Courage to Resist assiste dal 2005 tutti coloro che rifiutano di tornare al fronte. E purtroppo con Obama non possiamo registrare alcun cambiamento in positivo. I soldati devono tornare al fronte anche sei volte di seguito e per quanto affetti sia a livello fisico che mentale dagli effetti patologici dello stress. Il numero di soldati che preferiscono il processo per diserzione davanti alla corte marziale è in continuo aumento e la percentuale dei suicidi al fronte o dopo il ritorno a casa è triplicato.

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