Sale la «Quinta Generazione» tra crisi e caos interno

by Editore | 31 Dicembre 2011 9:30

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E’ la terza volta che la leadership cambia in Cina, secondo il meccanismo di successione deciso da Deng Xiaoping per scongiurare le lacerazioni dell’epoca maoista, considerate dall’artefice della politica di riforme e apertura letali per la continuità  del sistema. L’ombra della spaccatura delineatasi nel giugno dell’89 proprio a piazza Tiananmen aveva dato al Grande Vecchio il primo impulso a regolamentare il processo di avvicendamento; lo sgretolamento dell’Urss aveva poi convinto tutti che la continuità  del partito unico sarebbe stata assicurata anche da successioni governate sulla base di compromessi interno al Pcc. 
La terza successione, che farà  salire alla ribalta la Quinta Generazione, arriva in un momento topico. Non bastasse la naturale inquietudine indotta da un cambio della guardia di questa portata (il primo peraltro in cui i candidati sono stati indicati non da un’autorità  carismatica ma dall’apparato del Pc), il paese si trova stavolta alle prese con una grave crisi economica mondiale e con forti agitazioni interne. La situazione richiederebbe una riforma profonda del modello di sviluppo, con l’ormai mitico spostamento dell’asse di crescita dall’export al consumo interno. 
In questo senso la vecchia leadership guidata dal presidente Hu Jintao e dal premier Wen Jiabao lascia ai due futuri omologhi, Xi Jinping (58 anni) e Li Keqiang (56 anni), un elenco di questioni irrisolte, nonostante l’ innegabile avanzata mondiale del paese durante il loro mandato. Le parole d’ordine politiche scelte dalla Quarta Generazione, quella della «società  armoniosa» e dello «sviluppo scientifico», sono smentite dalla realtà . Mai nella storia del ‘900 la Cina aveva visto tanta ineguaglianza, e iniquità , nella distribuzione del reddito, mentre la devastazione ambientale ancora galoppa, nonostante il governo ne abbia riconosciuto l’entità  e deciso misure per arginarla. Il fatto che i governi locali ignorino spesso gli ukaze di Pechino volti a raddrizzare la situazione, costituisce uno dei problemi più ardui per i prossimi vertici.
La conflittualità  e le proteste di operai, contadini e cittadini comuni venute di recente alla ribalta della cronaca, segno di una società  che le crescenti aspettative stanno portando al punto di ebollizione sistematica, e sistemica, trovano origine nell’intrecciarsi dei problemi sopra menzionati, una matassa che i prossimi capi dovranno sbrogliare politicamente, invece che con la forza dell’apparato di controllo e repressione. 
E’ quello che ormai chiedono in molti, anche coloro che paventano un crollo del Partito, per il caos che ciò provocherebbe. Ma, argomentano, ormai il pericolo incombente è il caos quotidiano, la resistenza strisciante, la ribellione insofferente a ogni autorità . Secondo alcuni osservatori, anche cinesi, i prossimi leader dovranno prendere atto della crescente divergenza di interessi e procedere a scelte chiare, smettendo di ricorrere a un apparato ideologico ambiguo e ormai liso. Che peraltro nasconde le divisioni profonde apertesi anche all’interno del Pc, come testimonia l’aspra lotta scatenatasi per entrare nel Politburo e nel suo comitato permanente, il sancta sanctorum anch’esso da cambiare.
A Xi Jinping e Li Keqiang, di cui si ignorano a tutt’oggi le propensioni politiche, ma che certo rappresentano una scelta di compromesso dell’intero partito, forse l’unica possibile, il duro compito di cambiare tutto perché nulla cambi.

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