Rossella Urru due mesi dopo
RABUNI (TINDOUF)
Le stoviglie coricate l’una accanto all’altra nella piccola cucina. Una scatola di caffè italiano, incastonata tra quelle di tonno algerino. E sulla porta della camera, la bandiera sarda dei quattro mori. Tutto è rimasto congelato al 22 ottobre, nell’appartamento M1 del Centro volontari di Rabuni. Qui, da circa due anni, viveva Rossella Urru, la giovane cooperante sarda del Comitato internazionale per lo sviluppo dei popoli (Cisp). Qui, ormai due mesi fa, è penetrato il gruppo armato che l’ha presa in ostaggio, assieme ai due colleghi spagnoli Enric Gonyalons, dell’associazione iberica Mundubat, e Ainhoa Fernandez de Rincon, del gruppo «Amici del popolo saharawi dell’Estremadura». A sessanta giorni dal sequestro, si respira ancora tensione a Rabuni, nel centro direzionale della Republica Arabe Saharaui Democratica. Una manciata di case adagiate nel deserto algerino sud-occidentale, dove da 36 anni vive in esilio un intero popolo, quello dei Saharawi.
«Sono arrivati all’improvviso, su alcune jeep, con il favore del buio – racconta Alì Mohammed, uno degli operatori saharawi che si trovavano sul posto – mi hanno malmenato, puntandomi una pistola al volto. Poi mi hanno legato e si sono infilati nel piccolo cortile su cui si affacciano gli appartamenti dei cooperanti internazionali. Il primo che hanno aperto è stato quello di Rossella». La plafoniera sul soffitto illumina lo spartano arredamento del piso: i letti, il tavolo, l’enorme planisfero dipinto sulla parete del soggiorno e il calendario, fermo al mese di ottobre. Tutto fermo a quel momento, quando Rossella è stata trascinata fuori dai banditi. Il parapiglia deve aver richiamato l’attenzione degli altri due ragazzi: Ainhoa si è affacciata dal piso M9, Enric dall’M3. «Lui è alto e robusto, deve aver opposto resistenza – spiega Luca Bonilauri, giovane cooperante italiano, anche lui dell’associazione spagnola Mundubat, che quella casa l’ha condivisa per mesi con Gonyalons. Con il dito indica il foro del proiettile che è andato a conficcarsi nella parete, proprio accanto alla soglia dell’ingresso. «I rapitori hanno sparato – racconta Bonilauri – ferendolo a un piede. Io ero uscito di casa da un paio d’ore per andare a Dakhla, nei campi profughi. Quando sono tornato ho trovato un capannello di persone nel cortile e le tracce di sangue sul pavimento». «Tutto è stato molto rapido – afferma anche Abibullah Mohammed, capo del protocollo di Rabuni – io sono arrivato sul posto pochissimi minuti dopo l’accaduto, ma del gruppo non c’era già alcuna traccia».
Blitz da esperti: spariti nel nulla
Un blitz messo a segno da esperti, insomma, capaci di spingersi fino a qui, nel cuore amministrativo della Rasd, a poche centinaia di metri dagli uffici presidenziali. E poi di sparire nel nulla. I land rover del Polisario si sono messi subito all’inseguimento dei predoni, attraversando la Rasd, l’Algeria e la Mauritania, fino alle porte del Mali. Ma i doganieri maliani hanno vietato loro l’ingresso, costringendoli a tornare indietro a mani vuote e a lanciare l’allarme. I saharawi se la sono legata al dito. A metà dicembre il Polisario ha condotto una vasta operazione di polizia, che ha portato alla cattura di undici persone implicate nel sequestro dei tre cooperanti europei. Alcuni sono stati catturati a Majik, all’interno del territorio della Rasd. Ma questa volta gli uomini del Polisario hanno sconfinato anche in Mali. E ci è scappato il morto. Anzi, due. Durante uno dei blitz, nella zona di el-Hank, all’interno della provincia di Timbouctou, sono stati uccisi due contrabbandieri maliani, su uno dei quali, Mohamed Yeyia Ould Hamed, pendeva già una condanna a morte come spia da parte di al-Qaeda. Bamako ha risposto per le rime, denunciando la violazione del proprio territorio e annunciando reazioni, qualora simili eventi dovessero ripetersi. Insomma, una piccola crisi diplomatica, esplosa proprio nei giorni in cui il Fronte Polisario si riuniva a Congresso a Tifariti, nel cuore della Rasd liberata, ribadendo che «l’indipendenza è l’unica soluzione» contro l’occupazione marocchina del Sahara Occidentale, iniziata nel 1975. «La cosa più importante è che Rossella e gli altri due colleghi spagnoli stanno bene e sono stati localizzati – spiega il presidente del Parlamento della Rasd, Jatri Aduh, a margine del Congresso – si trovano proprio in Mali, vicino al confine con il Niger». Del resto, un video che ritraeva i tre cooperanti in buona salute era stato diffuso all’inizio di dicembre dalla sigla del «Movimento unito per la Jihad in Africa occidentale» (Jamat Tawhid Wal Jihad Fi Garbi Afriqqiya), l’organizzazione terroristica dissidente di al-Qaeda nel Maghreb che aveva subito rivendicato il sequestro. In un comunicato diffuso la scorsa settimana, i sequestratori avevano delineato meglio le proprie posizioni ideologiche, annunciando di voler allargare la loro azione al Sahel e a tutta l’Africa occidentale. Stando alle informazioni raccolte dal Polisario, tuttavia, i sequestratori giunti a Rabuni sarebbero trafficanti, delinquenti comuni appartenenti alla galassia criminale che opera indisturbata da un capo all’altro del deserto. Avrebbero tentato più volte di vendere gli ostaggi direttamente ad al-Qaeda nel Maghreb islamico. Ma senza riuscirci. «C’è stato un contatto con Mokhtar Belmokhtar, noto come Belaur, leader della cellula jihadista nel Sahara – rivela l’uscente ministro della Difesa della Rasd, Mohamed Lamine Buhali – ma quest’ultimo si è rifiutato di prendere in consegna i tre europei, proprio perché erano stati prelevati da un campo saharawi del Polisario».
Nuovo programma di sicurezza
«Noi cerchiamo di continuare a fare il nostro lavoro, anche se non è semplice – spiega Luca Bonilauri – subito dopo il sequestro siamo tornati in patria per un paio di settimane. Adesso siamo di nuovo tutti qui a Rabuni, ma dobbiamo sottostare a un nuovo programma di sicurezza messo in campo dal Polisario». Oggi a proteggere gli ingressi al Centro volontari c’è una fila di container e alcuni soldati del Polisario armati. E le misure di sicurezza adottate per il 13° Congresso sono state senza precedenti. Per i cooperanti è stato istituito il coprifuoco a partire dalle ore 19. Mentre dalle 22 in poi, nessun veicolo è più libero di circolare.
Misure tardive, secondo alcuni, anche se la zona di Tindouf era percepita come tra le più sicure dell’intera area desertica. I volontari non avevano mai voluto sentinelle all’ingresso e nessuno chiudeva a chiave la porta di casa. Eppure sembra che gli uomini del Polisario li avessero messi in guardia da almeno un anno su possibili pericoli. E che in un briefing avvenuto appena tra settimane prima del sequestro, fossero tornati con forza sulla questione. In quell’occasione era stata proprio Rossella a intervenire: «Se c’è realmente del pericolo, che vengano prese misure serie» avrebbe confidato la cooperante sarda ad alcuni conoscenti. «La vicenda è spinosa – spiega il presidente della Rasd, Mohamed Abdelaziz, a margine del Congresso che lo ha rieletto per l’undicesima volta alla guida del movimento per l’indipendenza del Sahara Occidentale – stiamo trattando il caso con estrema cautela, soprattutto dal punto di vista mediatico. Ma faremo tutto quanto è nelle nostre possibilità per restituire i tre ragazzi alle proprie famiglie».
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