Rifondazione chiude il suo giornale ma «Liberazione» non ci sta
ROMA
Pur di non chiudere e mandare alle ortiche un patrimonio politico e il loro posto di lavoro hanno messo sul tavolo un altro pacchetto di sacrifici, in aggiunta a quelli fatti negli ultimi due anni. Niente da fare. L’Mrc, società che edita Liberazione e il cui unico socio è Rifondazione comunista, non ha ammesso nessuna possibilità di salvataggio del quotidiano e confermato la fine delle pubblicazioni entro il 1 gennaio. Senza neanche discutere più di tanto. Una decisione che ha lasciato di stucco il comitato di redazione e la Rsu del quotidiano di viale del Policlinico, ma anche i rappresentanti della Fnsi e di Stampa romana presenti al tavolo della trattativa insieme a editore e Fieg. Al punto da suscitare reazioni durissime. «L’azienda ha violato le più elementari regole di un civile confronto fra le parti, presentandosi al tavolo con una posizione precostituita, intransigente e inaccettabile», spiega una nota dell’Ars, l’associazione stampa romana, mentre la Fnsi parla di «ingiusta condanna a morte». Da parte loro, invece, i lavoratori di Liberazione hanno annunciato nuove iniziative di lotta per i prossimi giorni.
A quanto pare per Rifondazione comunista la difesa dei posti di lavoro vale solo se non riguarda dipendenti in qualche modo collegati al partito, come sono i poligrafici e i redattori di Liberazione. I tagli all’editoria fatti dal governo Berlusconi e confermati da Monti hanno aggravato la situazione economica del giornale, che però in questi mesi ha fatto di tutto per resistere. Una decina di giorni fa l’annuncio da parte dell’Mrc della decisione di sospendere le pubblicazioni lasciando in vita solo l’edizione on-line, una scelta contro la quale i dipendenti della società si sono battuti aprendo una vertenza e incontrando, per la questione finanziamenti pubblici, il sottosegretario all’Editoria Carlo Malinconico. Ieri doveva svolgersi il secondo incontro con la Mrc, ma la trattativa non è mai decollata. L’editore ha infatti confermato la volontà di chiusura annunciando cassa integrazione a zero ore per tutti i dipendenti. «Da notare che le rappresentanze sindacali si sono presentate con una proposta articolata di riduzione dei costi, compresi ulteriori interventi sul costo del lavoro e di possibile aumento dei ricavi per garantire la continuità del giornale cartaceo per affrontare questo breve periodo di incertezze», spiegano i lavoratori riuniti in assemblea permanente. Proposte ignorate senza discutere più di tanto. «L’azienda – spiega il cdr – ha solo reiterato la propria decisione irrevocabile di sospendere le pubblicazioni dal 1 gennaio. Decisione sostanziata, prima dell’inizio di qualsiasi confronto sindacale, dall’annullamento dei contratti di stampa e distribuzione. Il tutto mentre si chiedeva a un’altra testata di ospitare una pagina di Liberazione dandola così per chiusa a trattativa appena iniziata».
A questo punto i dipendenti del giornale non se la sentono più di accollare la responsabilità della chiusura ai soli tagli dei fondi per l’editoria. «Qualcuno ha deciso di chiudere a priori Liberazione – denunciano – e qualcuno ha convocato un tavolo sindacale che non è mai stato tale ma serviva solo a strappare ai sindacati un provvedimento unilaterale di cassa integrazione a zero ore per tutti in assenza di prodotto. Un suicidio preventivo inspiegabile – conclude l’assemblea dei lavoratori – a cui giornalisti e poligrafici non hanno nessuna intenzione di allinearsi».
Nuovi sacrifici È quanto avevano proposto i lavoratori, ma l’azienda si è rifiutata di discutere. Fnsi: «Ingiusta condanna a morte».
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