Quotidiani in farmacia?

by Editore | 17 Dicembre 2011 9:39

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La verità  è che gli edicolanti sono oggi sul piede di guerra perché, di fatto, sono l’unica categoria colpita in pieno dalla politica delle liberalizzazioni. Evidentemente non sono la lobby che si vorrebbe accreditare o, se lo sono, non così potente come farmacisti e taxisti. Anche perché, dicono, il prodotto che veicoliamo non è un prodotto come un altro o tutti gli altri, puramente commerciale: ha a che fare con informazione, cultura, aggiornamento e crescita personale. «Il prodotto editoriale ha valore costituzionale» dicono.
Già , l’edicola. C’è chi sostiene che sia o sia stata anche il luogo di incontro e aggregazione sociale, di strada e quartiere, centro di discussione, chiacchiere e litigi furibondi – dallo sport alla politica all’attualità  – come i bar nelle piazze di paese, «la chiesa o l’Arci». Luoghi di coesione sociale. Oggi lo sono meno. La gente va di fretta e all’edicola non ci si ferma. A chiacchierare men che meno. Anzi, l’edicola è oggi lo specchio della crisi dei giornali, del loro declino e della disaffezione del pubblico alla carta stampata. Molte edicole, specie nelle periferie ma anche nelle adiacenze dei centri urbani (persino a Roma) abbassano le saracinesche già  il pomeriggio e molte sono quelle che non vanno oltre le ore 19. Ma la colpa non è loro, è che si vendono meno giornali, malgrado le edicole e nonostante loro stesse. Erano 42 mila nel 2001, sono 32 mila oggi. Solo negli ultimi tre anni hanno chiuso i battenti in 5 mila. Ma restano pur sempre l’ossatura distributiva di un Paese come l’Italia che ha sempre avuto il difetto o lo svantaggio d’esser «longa, troppo longa», sviluppato in verticale, disperso e dispersivo, un’urbanizzazione a macchia di leopardo, cosicché per raggiungere anche il più piccolo paesetto con il giornale, oppure l’isoletta sperduta, bisognava sostenere costi di distribuzione proibitivi.
Obiettivo di tutti gli editori, grandi, piccoli o cooperativi, è sempre stato quello di riuscire a ridurre questo divario. Se in un primo tempo per arrivare da Milano o da Roma a Palermo il giornale viaggiava in treno, per arrivare a destinazione in tarda mattinata, poi toccò all’aereo portare i pacchi in Sicilia, anticipando così la distribuzione nel luogo con il primo volo utile. A battere e ad abbattere la concorrenza arrivò alla fine degli anni Settanta la teletrasmissione delle copie e la nascita dei centri stampa, fino a che ogni editore s’è fatto il suo centro stampa, in Italia e all’estero.
Dinanzi alla disaffezione crescente del pubblico nei confronti della carta stampata, alla concorrenza dei new media, a cominciare da Internet, e alla progressiva e tendenziale caduta del saggio di profitto delle aziende editoriali, l’edicola sembra esser diventata l’anello debole o forse troppo vincolante all’espansione «illimitata» della rete di vendita. Anzi, l’ostacolo. L’obiettivo è far arrivare il giornale dappertutto. Anche in chiesa, se possibile. Famiglia Cristiana e Avvenire lo fanno già , ma sono di fatto «house organ»… Tutti gli altri vorrebbero arrivare al pubblico con ogni mezzo, il supermercato, i tabaccai, le librerie, i bar, le scuole, pur di diffondere e arginare il declino delle vendite, dopo aver distribuito per anni centinaia di migliaia di copie gratis nelle palestre, nei centri commerciali, nei centri benessere, dal parrucchiere, nei grandi magazzini, alterando e drogando al tempo stesso il mercato delle copie vendute/distribuite con l’unico scopo di rendere appetibile il mercato della pubblicità . Come dire: tutto falso. Trucchi contabili. Dumping editoriale.
In verità  sulla liberalizzazione delle edicole manca un’idea forte, da parte di chi la propone, in particolare la Federazione degli editori tramite il Governo. Tanto che verrebbe voglia di suggerire la soluzione delle soluzioni o la liberalizzazione di tutte le liberalizzazioni: distribuire i giornali attraverso le farmacie… o i taxisiti, ove gli uni e gli altri ci stessero…
Battute a parte, il problema è serio. Sulle edicole campano 50 mila e più famiglie. La sperimentazione che si tenne a cavallo tra il 1998 e il 2000 di vendere i giornali in altri esercizi commerciali è sostanzialmente fallita. Ora si punta all’«informatizzazione» delle edicole, che ha più che altro una funzione razionalizzatrice del rapporto copie fornite-copie rese. Nulla di più. Mentre il rischio vero, se dovessero scomparire o la distribuzione essere liberalizzata, è che si imbocchi in realtà  la strada della privatizzazione tout-court della distribuzione, che finirà  nelle mani di circa un centinaio di soggetti privati, che farebbero il bello e il cattivo tempo, «operando in regime di monopolio» come sottolinea un documento del Sinagi, il sindacato edicolanti Cgil, i quali decideranno se la redditività  prodotta dalle singole edicole esistenti sarà  «funzionale ai loro interessi aziendali». Un vantaggio per i grossi editori di giornali, di cui i rivenditori cureranno sicuramente e con particolare dedizione gli interessi. Un disastro per i medi e i piccoli. Il rischio ancora una volta è la «concentrazione», della diffusione e dell’informazione. Dopo il taglio dei fondi di sostegno all’editoria minore e cooperativa, si rischia che la selezione dei giornali che potranno vivere o meno – indipendentemente dal loro mercato – passi prima di tutto attraverso la selezione delle edicole che li dovrebbero distribuire. Perfetto attentato alla libertà  d’informazione.

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