Quelle lacrime in diretta della Fornero
È stato l’unico squarcio nel velo, il solo momento di vita in un’atmosfera rarefatta, davvero da consiglio di facoltà : «Non so se il collega mi vuole correggere», «No, credo che il professore si sia espresso in modo adeguato…». Per fortuna, a un certo punto la Fornero ha pianto. Per fortuna del governo, in evidente deficit di comunicazione, e un po’ anche dei contribuenti e dei pensionati: i quali si sono resi conto che la frustrazione e il dispiacere, la tensione e la sofferenza, non erano soltanto dei governati, ma pure dei governanti. Immagini che oggi faranno il giro del mondo, e diventeranno il simbolo della «Quaresima dopo il carnevale».
Fino a quel momento, i sacrifici erano stati comunicati con asciuttezza chirurgica. I sessantenni avevano appreso che avrebbero dovuto lavorare qualche anno in più, commercianti e consumatori si erano sentiti annunciare il secondo aumento dell’Iva in pochi mesi, le famiglie andavano calcolando quanto sarebbe costata la reintroduzione dell’imposta sulla prima casa; il tutto in un bon ton più da aula universitaria – «come diceva il mio vicino di banco…», «sentiti libero anche nei miei confronti» – che da momento storico. Fino a quando il ministro del Welfare non ha tradito un’emozione collettiva, la consapevolezza di stare cambiando percorsi di vita, sottraendo aspettative, deludendo speranze, sia pure per un fine superiore e di «lungo orizzonte». Così i lineamenti del bel volto di Elsa Fornero si sono increspati, il suo accento torinese si è fatto muto, e l’espressione che finirà per diventare la parola chiave del governo Monti – «sacrificio» – è stata sopraffatta dal pianto. Ed è significativo che sia avvenuto sull’annuncio del provvedimento socialmente più doloroso, il taglio del meccanismo che adeguava le pensioni al costo della vita. Alla fine la parola – «sacrificio» – l’ha detta Monti, preside sino alla fine: «Commuoviti pure, ma correggimi».
Il presidente del Consiglio si è rivolto direttamente agli italiani e all’orgoglio nazionale. Ma il pathos era tutto nelle parole, per nulla nei toni. Espressioni drammatiche come «emergenza gravissima», «decreto salva Italia», «rischio di vanificare sacrifici di sessant’anni», «responsabilità verso l’Europa, verso i bambini, verso le generazioni future» sono scivolate via, porte con un periodare asciutto, atono, su uno sfondo nero da teatro esistenzialista. La commozione della Fornero ha dato volto e sentimento alla circostanza, ha mostrato plasticamente che la serata era davvero storica, e che dietro la manovra c’è un «costo psicologico», per usare le parole della ministra, che pesa su tutti. Il resto della conferenza stampa, onestamente, è stato meno efficace. La polemica sui «frettolosi e valenti economisti amici», la distinzione tra «outsiders» e «incumbents», l’evocazione (per bocca di Giarda) della Destra storica. Monti si è rifatto invece, senza nominarli, agli sforzi «sotto l’egida dell’Europa» dei governi Amato, Ciampi, Prodi, «apprezzabili ma non sufficienti». Ha segnato un punto rinunciando al compenso da premier e da ministro. Ha avuto anche momenti di autoironia, come quando gli hanno chiesto se continuerà a fare politica anche dopo la fine del governo («se sarò riuscito nel compito, ne avrò avuto abbastanza»). A un altro giornalista ha detto: «Non vado oltre perché penso di averla persuasa anche troppo». Un rischio che è stato evitato: gli italiani forse apprezzeranno nel «lungo orizzonte»; per il momento non sembrano «troppo persuasi». Se non altro, ora sanno che i professori – o almeno le professoresse – ci mettono il cuore, oltre alla testa.
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